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Brunetta: "Ora risorse al lavoro autonomo"

Renato Brunetta

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Così se la tendenza dell'occupazione dipendente mostrerà segni di stabilizzazione potranno essere utilizzati per artigiani, commercianti, agricoltori e co.co.co parte degli otto miliardi stanziati per la cig. "L'avvitamento della crisi è finito. Il peggio sembra passato e siamo entrati in una fase di stallo. È la fase più delicata. Per questo il governo ha messo in campo misure forti come il piano casa e il decreto anticrisi. Ed è forse è il momento di dedicare più attenzione al lavoro autonomo e cioè a quella parte del sistema produttivo formato da artigiani, commercianti, piccole imprese, agricoltori e co.co.co (lavoratori a progetto ndr)" spiega a Il Tempo, il ministro dell'Innovazione nella Funzione Pubblica, Renato Brunetta E le risorse dove si trovano? «Se, come penso, il trend dell'occupazione nel lavoro dipendente andrà verso la stabilizzazione, e anzi comincerà a migliorare, potremmo riutilizzare parte degli otto miliardi di euro stanziati dal governo per gli ammortizzatori sociali per la cassa integrazione ordinaria e straordinaria. Una volta fatta la proiezione statistica delle effettive necessità per il 2009 e il 2010 e, accantonate le somme necessarie, si potrebbero liberare subito i fondi per incentivare e aiutare gli autonomi». Un ragionamento che contrasta con i dati del Cnel (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro) che danno a rischio circa 500 mila posti a fine anno? «Non lo sa nessuno che tipo di conseguenze può avere questa crisi. È facile dare i numeri: 100, 200 o 300 mila persone senza lavoro. Ma, ripeto, nessuno può avere una capacità previsiva in un contesto del genere. Al contrario è un momento in cui bisogna far ritornare la fiducia tra i cittadini e gli operatori economici». Torniamo al suo progetto a favore degli autonomi. È praticabile? «Lo proporrò al governo con la motivazione che è l'ora di far ripartire il circolo virtuoso anche in questo settore. Stimolando e incentivando il lavoro autonomo, infatti, aumentano i consumi e il reddito. Il circuito produttivo si mette in moto e diminuisce ulteriormente il ricorso agli ammortizzatori». Tra gli impulsi dati al sistema economico è arrivato anche il piano casa. In parte deriva da una sua intuizione. «Parto dal presupposto che come ho detto all'inizio del 2009, quando nessuno lo diceva, che il potere d'acquisto delle famiglie con un reddito fisso sarebbe aumentato o al massimo stabile. I risparmi si sono creati ma non sono stati utilizzati per acquistare beni di consumo durevoli. Il piano casa va in questa direzione. Anzi abbiamo ora tre piani casi che agiscono contemporaneamente. Quello che prevede la rottamazione delle vecchie abitazioni, quello per la costruzione di 100 mila nuovi alloggi popolari e quello per l'acquisto delle case a canone sociale con una formula di riscatto a 15 anni da parte degli inquilini. Mi riconosco la paternità di quest'ultimo pezzo del piano casa messo nella Finanziaria del 2006».  Sarà la soluzione per rilanciare l'economia? «Contribuirà ad assorbire la montagna di liquidità che paradossalmente la crisi finanziaria ha creato. E darà un forte impulso al sistema produttivo perché l'edilizia è un comparto con un coefficiente di attivazione dell'economia molto elevato. Costruire case significa arredamento, ferro, cemento e tanti altri fattori produttivi che si mettono in movimento». Passiamo alla sua missione ministeriale. Siamo vicini all'obiettivo di una trasformazione radicale della pubblica amministrazione? «Faccio parlare i numeri. Abbiamo recuperato con la lotta all'assenteismo 14 milioni di giornate di lavoro. L'equivalente di 70 mila occupati in più. Abbiamo riportato al fronte un esercito che non ne voleva sapere di andare in guerra. Abbiamo realizzato un'operazione «trasparenza» che ha dato buoni frutti. Penso alle consulenze e ai distacchi sindacali che entro pochi mesi saranno ridotti alla metà. Stiamo predisponendo la pubblicazione dei curricula e stipendi di dirigenti pubblici e già reso disponibili quelli dei manager delle aziende di servizi pubblici. Abbiamo rinnovato i contratti e avviato il sistema della customer satisfaction compresa la class action. I prossimi progetti già in rampa di lancio? «Dopo un anno di start-up in autunno partirà l'implementazione della sanità, della giustizia, della scuola e della burocrazia elettronica. Un'iniziativa che prevede di eliminare la carta e portare tutti i flussi di informazioni e i servizi sulla rete entro il 2012». Cosa manca ancora perché sia soddisfatto del suo operato? «L'aumento della produttività del settore pubblico. È un assedio che facciamo alla fortezza dell'insensibilità. Ho fatto un conto e cioè che alla fine della legislatura possiamo aumentare la produttività del 50%. Significa il 50% in più di scuola, università e giustizia e altro. Tutto questo a costo zero potrà portare un aumento del 20-30% del tasso percentuale di Pil. Possiamo colmare un gap con gli altri paesi. Quando noi crescevamo al 2% gli altri crescevano al 3%. Con questa riforma possiamo aumentare la ricchezza prodotta al livello dei nostri partner».  I cittadini sono dalla sua parte. I dipendenti un po' meno. Ce la farà a riconquistarli? «Mi basta avere dalla mia parte 60 milioni di italiani che sono i miei clienti e i finanziatori con le loro tasse. Sono anche i controllori a cui sto dando voce». E i lavoratori? «Dai sondaggi risulta che dei 3,6 milioni di statali il 50% sta con me. Sono i più bravi e meritevoli. Dell'altro 50% una metà è recuperabile. L'altra metà è a perdere. Si tratterà di dare premi alla prima parte, convincere chi è rimasto a guardare e stanare i renitenti». Ma come sarà misurata la produttività «La mia legge prevede l'istituzione di un'agenzia autonoma per la valutazione che utilizzerà parametri assolutamente oggettivi. Il 50% delle risorse andrà ai migliori e cioè al 25% dei dipendenti più bravi. E per essere promossi bisognerà restare tra i migliori per tre anni consecutivi Parliamo dei dirigenti. L'uscita dopo 40 anni di lavoro considerati anche i contributi figurativi non è piaciuta a molti di loro. Qualcuno ha parlato di una forma di spoil systems. «Non è una rottamazione. Con la disposizione si esce al massimo tre anni prima rispetto alla data massima di pensionamento. Tra l'altro la legge prevede che le amministrazioni predispongano piani per l'utilizzo di quella che resta una facoltà. Se un'amministrazione ha dei bravi dipendenti se li può tenere. Se invece pensa che sia necessario ripianare sacche di eccedenza e vuole far ripartire il ricambio generazionale lo può fare, ma con piani e regole valide per tutti, e non solo per alcuni di loro. Insomma non è un'arma per consentire regolamenti di conti tra i vari capi degli uffici». Se si scorrono gli elenchi telefonici di ministeri. università e aziende sanitarie i cognomi spesso si ripetono. Ha in mente qualcosa per sconfiggere il nepotismo nelle carriere pubbliche? «Non dipende da me. Per mettere alle strette questa pratica bisogna aumentare la trasparenza e la meritocrazia. Ad esempio mettendo sotto pressione il sistema pubblicando in rete nomi, cognomi e curricula dei dirigenti. Lo farò da settembre. La gente potrà vedere dove si annida il nepotismo». Vedere ma non agire? «L'unico modo per combattere i raccomandati è rendere corrette e pulite le procedure di concorso, a partire da quelli in magistratura. Metterò in rete chi sono i commissari d'esame, chi ha vinto le selezioni, i voti e quant'altro, per consentire un controllo a tutti. La trasparenza è la chiave per battere il fenomeno.

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