"Rete di ferro", la trappola talebana
«Colpo di spada», «Artiglio di pantera»: gli strateghi militari anglo americani hanno messo in campo operazioni in grande stile per arginare la guerriglia talebana in vista delle elezioni di agosto. Grande impiego di uomini sul terreno, meno bombardamenti ma poca fantasia tattica. Così la risposta talebana non si è fatta attendere. Ed eco arrivare «Foladi Jal», «rete di ferro», una vasta operazione di pura guerriglia basata su imboscate e bombe ai lati delle strade. «In risposta al Colpo di spada degli invasori, noi abbiamo lanciato l'operazione Foladi Jal (fil di ferro in lingua pashtun, ndr) che darà una lezione ai soldati americani» ha detto il portavoce dei ribelli islamici, Yusuf Ahmadi. «La loro spada - ha aggiunto Ahmadi - si impiglierà nel nostro filo di ferro. Ma non li affronteremo direttamente». Un mordi e fuggi che ieri, almeno a sentire la rivendicazione fatta a Al Jazeera dal portavoce talebano, Dabihullah Mujahed, ha permesso di abbattere un caccia della Raf in fase di decollo a Kandahar. Quattro marines uccisi da una bomba: 27 dall'inizio del mese. «Le forze Nato e il Pentagono non hanno tratto abbastanza tesoro dalla nostra esperienza in Afghanistan - spiega un ex ufficiale dell'Armata rossa - In dieci anni abbiamo perso oltre 14mila uomini. I mujhaddin forse molti di più ma loro hanno vinto. Noi abbiamo continuato ad appoggiare un regime corrotto e questo ha favorito il consenso della popolazione alla guerriglia fino a costringerci a ritirarci». E oggi in Afghanistan gli «insorgenti» continuano a mietere consensi in tutte quelle province dove l'arrivo dei funzionari del governo di Kabul vogliono imporre regole basate sul clientelismo e la corruzione a suon di balzelli. Non a caso i capi villaggio preferiscono la presenza dei militari stranieri a quella degli amministratori imposti da Karzai. La società afgana è basata sulle tribù e sul rispetto della legge tradizionale che dà agli anziani poteri assoluti. Ma a Kabul questo non viene rappresentato e lo stesso Barack Obama in campagna elettorale aveva auspicato un cambio nella governance in Afghanistan. E La Casa Bianca ha confermato che nessun candidato sarà appoggiato da Washington. Sul terreno le truppe americane restano impantanate nella Valle dell'Helmand a caccia di un nemico quasi fantasma. In quelle terre spazzate dal vento e dove la temperatura è più vicina a quella di Marte i guerrieri con il turbante si mimetizzano tra i pastori, vivono nelle grotte, pregano, mangiano poco combattono e sono pronti a morire. La loro età varia dai 12 ai settanta anni. Le nuove leve dell'insorgenza, secondo un rapporto inglese, è costituito da «rimpatriati»: afgani vissuti in Europa o in Pakistan dove hanno studiato, non solo il Sacro libro ma ingegneria, medicina. Sono diventati esperti informatici che sfruttano per la loro propaganda e per la costruzione di ordigni sempre più sofisticati. Ora usano Ied, le bombe improvvisate poste lungo le strade, che si attivano con le cellule fotoelettriche. I capi, a parte l'ormai mitologico Mullah Omar fanno avanti e indietro con i Paesi del Golfo dove gestiscono fondi e incontrano mercanti d'armi: trafficanti dei Paesi dell'ex Urss e cinesi. «Mordi e fuggi». «Infiltrazioni e bombe». Vecchie tattiche di guerriglia imparate negli anni '80 da istruttori Usa e migliorate con l'impiego di armi più sofisticate. Soprattutto rese più micidiali con l'utilizzo di «shahid»: quei martiri kamikaze che Al Qaeda ha reso «immortali» con l'Attacco all'America l'11 settembre 2001. Attentatori suicidi scelti tra bambini, orfani di combattenti e comprati dalle famiglie più povere del Pakistan, educati all'orrore sin dai primi anni di vita. Bombe umane contro occidentali e afgani «corrotti». Come quei giovani uccisi ieri mattina mentre erano su un bus lungo la road che da Farah porta ad Herat.