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Non può essere Totò Riina a dare la linea

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Leonardo Sciascia, l'ultimo illuminista, capace di condurre davvero un'incisiva e disinteressata battaglia culturale e civile contro mafiosità e mafia, già, nel 1987, mise in guardia contro l'antimafia, divenuta «potere che non consente dubbio, dissenso, critica ». Da allora, è professione, autopromozione e instrumentum regni di quanti fanatici «... contro l'etica vera, contro il diritto, persino contro la statistica, ... credono che…la repressione violenta e indiscriminata, l'abolizione dei diritti dei singoli, siano gli strumenti migliori per combattere... associazioni criminali...». Sciascia fu l'unico ad avere il coraggio di criticare la legge sui pentiti: «... nessuno, spero, verrà a dirmi abbia a che fare con l'idea della giustizia e con lo spirito e la lettera della Costituzione». Come dargli torto, se questa norma ha consentito che un pluriassassino che, per giunta, disciolse nell'acido un bambino, dopo esser stato foraggiato con i denari di Pantalone, è attualmente anche fuori di galera, libero e padrone di sé, come il più incensurato degli uomini? Da umile allievo di Sciascia, ammetto d'aver paura della mafia e, talora, anche dell'antimafia, specie quando, in luogo dei fatti, spara fantascienza. Da ebreo, mi risentìi non poco, quando, undici anni fa, lessi un articolo-saggio («MicrOmega», I, 1998), firmato da un pm palermitano, dal titolo fanaticamente antisemita: «Per una "teologia" di Cosa Nostra. L'etica adattata alla logica di una sola grande "famiglia"... Una piramide che vede nel Dio del Vecchio Testamento l'ultimo – e il più terribile – dei padrini». La procura di Palermo non arrivò a spiccare mandato di cattura a carico del Padreterno, Mosè e Popolo dell'Alleanza, eppure le profezie di Sciascia sul fanatismo mi risuonarono nitide alle mente. Che direbbe, oggi, l'illuminato Leonardo, davanti alle ultime fantasmagoriche e non poco tardive «rivelazioni», a proposito della strage di via D'Amelio (19 luglio 1992), che causò la morte del giudice Paolo Borsellino e degli agenti Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter E. Cosina, Claudio Traina? La pista comunista non è stata mai presa in considerazione e mi chiedo perché si sia dato retta financo al meno affidabile dei pentiti, piuttosto che al procuratore della Federazione russa, Valentin Stepankov, che indicò nel riciclaggio in Italia dei milioni di dollari del Pcus la causa dell'eliminazione di Falcone e Borsellino. Quella pista politicamente scorretta non interessò e, adesso, anche le sentenze passate in giudicato non valgono più nulla, perché il figlio del mafioso Vito Ciancimino parla di trattative tra Stato e mafia. L'esito tra il grottesco e il demenziale di questo modo di produrre antimafia è che, ora, Riina è stato messo nelle condizioni di dettare la strategia investigativa, come a dire che la regìa dell'antimafia è paradossalmente, ma stabilmente, grazie alla legge sui pentiti, nelle mani della mafia. Purtroppo, c'è un tale timore anche nella classe dirigente politica, che, per scansare l'accusa di chissà quali connivenze, si lasciano passare sotto silenzio operazioni eversive, attraverso le quali certi professionisti dell'antimafia sponsorizzano M. Ciancimino e la belva Riina, per «mascariare» il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, i nostri servizi segreti e, alla fin fine, l'Arma dei Carabinieri. In attesa di un giudice a Berlino, da giornalista, deputato e cittadino italiano, dico, alto e forte: «Giù le mani da Mancino, dai Servizi e soprattutto dalla Benemerita!». Volentieri faremmo a meno dei fanatici dell'antimafia, giammai dei Carabinieri.  

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