Il Pd predica bene e razzola male
Ci sono parole che hanno fatto la storia della politica italiana. Parole che infiammano le folle, soprattutto nel centrosinistra. Forse per questo, ogni volta che la campagna elettorale giunge alle fasi finale, riemergono dai cassetti della memoria. Per scomparire subito dopo il voto. È successo anche in questi giorni. Mancano meno di 100 giorni al congresso e alle primarie che, ad ottobre, incoroneranno il nuovo segretario del Pd. Ed ecco riapparire il conflitto di interessi. A parlarne è stato, giovedì durante la presentazione del suo «programma elettorale», Dario Franceschini. Un sasso gettato nello stagno che ha immediatamente scatenato il dibattito. Così sabato, intervistato dal Corriere della Sera, Walter Veltroni ha rilanciato: «Con Roberto Zaccaria lavoriamo a un testo molto semplice: incompatibilità fra funzioni pubbliche e possesso di mezzi di comunicazione». Ora la domanda nasce spontanea: dove hanno vissuto Franceschini e Veltroni in questi anni? Già perché dal 1994 ad oggi il centrosinistra ha avuto più di un'occasione per fare la legge sul conflitto di interessi, ma non l'hanno mai fatta. E pensare che Veltroni, tra il 1996 e il 2001, è stato prima vicepresidente del Consiglio con Romano Prodi, poi segretario del principale partito della maggioranza che sosteneva Massimo D'Alema. Niente di niente. Un po' quello che è successo con la legge per regolamentare le coppie di fatto. Oggi sia Pier Luigi Bersani che Ignazio Marino, candidati alla leadership del Pd, ne sbandierano la necessità, ma tutti ricordano la «triste fine» che fece, durante l'ultimo governo Prodi, il disegno di legge promosso da Rosy Bindi e Barbara Pollastrini. Tanto rumore per poi perdersi nei meandri del Parlamento. Affossato proprio da una parte del principale partito della maggioranza. Lo stesso che esprimeva 20 ministri su un totale di 26. Che dire poi del capitolo alleanze. Terminata l'esperienza di governo, nel 2008, il Pd decise di mandare in pensione l'Unione. Basta alleanza con i micro partiti che, dicevano, avevano condizionato l'azione dell'esecutivo. Con una campagna elettorale giocata sul «voto utile» impedì che quelle forze entrassero in Parlamento, poi, giusto per evitare sorprese, appoggiò la riforma della legge elettorale che fissava lo sbarramento al 4% per le europee. Risultato? Tutti fuori anche dal Parlamento di Strasburgo. Eppure, oggi, tutti i candidati alla leadership del Pd ribadiscono la necessità di riallacciare le antiche alleanze. L'ultimo capitolo riguarda le ricette economiche. Il Pd ha riproposto in questi mesi alcune delle proposte contenute nel programma con cui Veltroni si presentò alle elezioni del 2008. Su tutte (lo ha detto anche Franceschini presentando il suo programma) quella di introdurre un salario minimo garantito. E il miglior commento, forse, è quello che fece Fabio Mussi, ex Ds ed ex ministro del governo Prodi, un anno fa: «Ma qualcosa di tutto questo non si poteva mettere nell'ultima Finanziaria?»