La Consulta boccia i magistrati che si trasformano in politici
Loribadisce la Consulta sottolineando che «nel disegno Costituzionale, l'estraneità del magistrato alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e mira a salvaguardare l'indipendente ed imparziale esercizio delle funzioni giudiziarie dovendo il cittadino essere rassicurato sul fatto che l'attività del magistrato, sia esso giudice o pubblico ministero non sia guidata dal desiderio di far prevalere una parte politica». La Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata dalla sezione disciplinare del Csm in relazione alla norma dell'ordinamento giudiziario che vieta l'iscrizione nei partiti politici. Lo spunto per chiedere il pronunciamento della Consulta riguardava il caso di Luigi Bobbio, magistrato fuori ruolo ed ex senatore di An, per il quale il Pg della Cassazione aveva avviato un procedimento disciplinare per aver assunto nel 2007 la carica di presidente della federazione provinciale di Napoli di Alleanza nazionale. Secondo la sezione disciplinare, il divieto di iscriversi a partiti politici contrasterebbe con gli articoli della Costituzione che riconoscono a ogni cittadino «senza distinzioni di sorta» di associarsi liberamente in partiti e la possibilità per un magistrato - purchè fuori ruolo - di candidarsi alle elezioni. «I magistrati - scrivono i giudici della Consulta nella sentenza 224 - debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino e possono non solo condividere un'idea politica ma anche espressamente manifestare le proprie opzioni al riguardo. Ma le funzioni esercitate e la qualifica rivestita dai magistrati non sono indifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale».