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La terza via di Napolitano è utile solo agli estremisti

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Tertiumnon datur. Almeno in teoria. Ma nel nostro Belpaese c'è sempre una terza via, per non dire una scappatoia. Così Giorgio Napolitano, italianissimo in quanto partenopeo, pronuncia sulla legge concernente la sicurezza un controverso «sì, ma...». Una terza via che è incorsa nelle ire di quelli che una volta si chiamavano opposti estremismi. All'estrema sinistra, manco a dirlo, si è scatenato un Tonino Di Pietro che più passa il tempo e più ci appare la controfigura di Beppe Grillo. Ma ecco i suoi memorabili detti. «Grida al vento» le perplessità del Quirinale. «Profondo dolore per la titubanza del presidente della Repubblica nell'affrontare i compiti che la Costituzione gli assegna». Scivolando sulla Costituzione che interpreta alla carlona, sostiene che se il Colle «aveva dei dubbi, il suo compito era quello di rinviare il testo alle Camere». Né poteva mancare la ciliegina sulla torta. Eccola: «Il lamento dopo aver firmato il provvedimento... ammanta di ipocrisia e perbenismo una legge che meritava di essere espulsa dall'ordinamento». Sul fronte opposto si è distinto, fuori dal coro, l'ex presidente del Senato Marcello Pera. Per il quale le preoccupazioni espresse dal Capo dello Stato «sono palesemente fuori dai poteri che la Costituzione gli assegna». Ciò premesso, veniamo al dunque. Napolitano «assolve» la legge sulla sicurezza ma «bacchetta», per così dire, i suoi estensori. Cioè governo e Parlamento. E motiva con particolare ampiezza il suo comportamento. Osserva che il suo «sì» era nella logica delle cose, perché altrimenti non sarebbero entrate immediatamente in vigore disposizioni volte ad assicurare un più efficace contrasto della criminalità organizzata. E tuttavia aggiunge che il provvedimento suscita «perplessità e preoccupazioni» «per le numerose norme tra loro eterogenee, non poche delle quali prive dei necessari requisiti di organicità e sistematicità». In particolare stigmatizza «la presenza nel testo di specifiche disposizioni di dubbia coerenza con i principi generali dell'ordinamento e del sistema penale vigente». Questa terza via di Napolitano non è del tutto inedita, come erroneamente si è detto. Infatti una simile prassi è stata inaugurata da Carlo Azeglio Ciampi. Si tratta di capire se sia o no conforme allo spirito, se non alla lettera, della Costituzione. A ben vedere, le rampogne del Colle non riguardano né la legittimità costituzionale del testo, che non è posta in discussione, né il merito, ossia l'opportunità del provvedimento, nel qual caso il Colle travalicherebbe i suoi poteri. No, si tratta piuttosto di notazioni che riguardano quello che un giurista accorto come Paolo Barile definì merito costituzionale. Un quid medium tra legittimità e merito puro e semplice. Il guaio è che sul concetto di «merito costituzionale» noi giuristi, vil razza dannata, ancora ci accapigliamo. E non possiamo lamentarci se lo fanno, a torto o a ragione, anche i non chierici. Paolo Armaroli

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