Stupri a Roma, i dubbi sull'inchiesta
Un magistrato, l'11 marzo scorso, a proposito dello stupro della Caffarella, che, in prima battuta, portò in carcere due romeni (i quali non c'entravano niente) scrisse: «La magistratura italiana merita fiducia e rispetto: e ragioni per tenere in prigione Loyos... ce ne debbono essere». Quel «ce ne debbono essere» di contro alle ragioni che invece non ce erano mi fece immaginare una Repubblica davvero liberaldemocratica e giuridicamente civile, dove gli inquirenti si conquistano fiducia e rispetto anche per la capacità di ammettere, in tempo reale, abbagli ed errori, che possono costare vite umane. Nulla è più triste, lugubre e patetico del suicidio in carcere e, purtroppo, da noi - la notazione è espressamente rivolta al Guardasigilli Alfano - il numero di questi atti disperati è in costante aumento. Avendo letto del rischio di un altro possibile insano gesto, mi sono precipitato a Regina Coeli, per capire qualcosa di più su Luca Bianchini, il presunto violentatore seriale, sul quale si ammonticchiano, giorno dopo giorno, indizi, testimonianze, tante, forse troppe prove, apparentemente schiaccianti. Avendo seguito con attenzione il divenire della condanna senza appello già comminata a mezzo stampa, mi aspettavo di dovermi imbattere in una personalità quanto meno spigolosa, ombrosa, magari enigmatica o marcata da tic, stereotipie e altre onde anomale. Io sono garantista, non perdonista o innocentista, come le sezioni disciplinari di certe corporazioni, eppure - per onestà intellettuale - debbo rivelare che mi sono trovato davanti un ragazzo normalissimo, proprio come rivendicano i genitori. In primo luogo, non ha mai espresso o fatto sospettare - anche a parere del direttore e delle guardie penitenziarie - alcun tipo d'intenzione autolesionistica e temo che la falsa notizia sia circolata per consolidare lo scenario della strada senza uscita di chi sa d'aver commesso crimini particolarmente odiosi e di essere stato, ormai, inesorabilmente scoperto e inchiodato. Dalla magliettina piuttosto sporca, essendo l'unico capo di vestiario a sua disposizione, spunta un volto più rassicurante di quello delle fotografie lombrosiane pubblicate o mandate in onda: la barba corvina forzatamente lunga, il viso più magro, più ovale e gentile, lo sguardo per nulla inquietante, per non dire che rimanda a un indole dolce; la struttura corporea e le braccia, infine, non sono quelle di una persona muscolare e aggressiva. La sua prima preoccupazione è rivolta alla famiglia, ai genitori e al fratello; la seconda, ai suoi compagni del Partito democratico, che vorrebbe rassicurare, benché non riesca a capacitarsi del perché invece di sospenderlo, in attesa di sentenza, si siano affrettati a espellerlo. Che ci siano tracce di stalinismo nel Pd? Oppure si tratta soltanto di eccesso di legittima difesa? Abbiamo parlato più di mezz'ora, prima attraverso le sbarre, poi in una stanzetta per i colloqui, spaziando su vari temi, e l'ex dirigente del circolo Pd del Torrino, oltre a ribadire la sua estraneità ai fatti, ha riflettuto sulla barbarie, che può colpire ognuno di noi, di essere per settimane processati a mezzo stampa, sulla base di una sola fonte, la voce dell'accusa, e senza, quindi, nessuna possibilità di replica e di difesa. Comunque sia, in questo ha ragione Bianchini, visto che l'aula del Tribunale non può essere surrogata e anticipata da procedimenti, per così dire, di piazza. A riprova che il ragazzo - 32 anni, ma sembra più giovane - la politica ce l'ha nel sangue mi ha esortato a farla in Parlamento la battaglia per la civiltà giuridica e il rispetto della persona indagata e non ancora rinosciuta colpevole. Insomma, l'attivista del Pd a me ha fatto una buona impressione. Certo, le mie sensazioni possono essere sballate, anzi può darsi che si tratti di un caso di scuola della scissione della personalità. Forse, ho visto Henry Jekyll e non l'alter ego, Edward Hyde. Tuttavia, non mi sento di escludere a priori una Caffarella due.