Spaccarotella: "Sono un cretino, non Rambo"
Dopo mesi e mesi di buio, di silenzi, di dichiarazioni rilasciate di spalle, l'agente Luigi Spaccarotella esce allo scoperto con un'intervista effettuata al settimanale Visto. «Sono un cretino, non mi sento Rambo - ha dichiarato il poliziotto subito dopo la sentenza di primo grado che lo vede sul banco degli imputati per l'omicidio di Gabriele Sandri - sono solo una persona che ha creduto di fare il suo dovere. Non ho mai preso la mira, lo ripeterò sempre. Non sono un pazzo che rischia di colpire un'auto di passaggio: c'era un'autostrada di mezzo». Non c'è giustizia in questo Paese - prosegue Spaccarotella - sono i prepotenti, i forti, quelli che sanno parlare bene, sanno raccontarti e rigirarti, ad avere la meglio. Non gli ignoranti morti di fame come me. Le persone oneste che hanno rispettato le leggi non valgono niente. Antipatica la mia voce, il mio accento meridionale e anche il mio cognome, Spaccarotella. Tutti hanno visto in me l'uomo forte che spacca, che uccide. Invece io sono un padre, un marito e un figlio». L'agente di Polizia, sospeso dal servizio il 22 gennaio 2009, dopo esser stato trasferito alla Polfer di Firenze in seguito all'assassinio del tifoso laziale, adesso confida in un reintegro immediato: per il momento rimarrà libero fin quando la sentenza non diverrà irrevocabile. «Una sentenza in cui speravo ma che non mi aspettavo proprio. Sono contento ma soffro per Gabbo. Ho cercato di far capire ai genitori che il mio non è stato un gesto volontario, ma quando si alza un muro davanti è difficile scavalcarlo, spero se ne facciano una ragione. Non ho mai voluto uccidere in vita mia. Non mi sono presentato in aula perchè c'erano gli ultras - ha risposto Spaccarotella alla domanda sulla sua assenza - per evitare un motivo ulteriore di caos o scontri vari, meglio così. Finchè ci riesco continuerò a nascondermi, ho paura, gli ultras sono gente avvezza alla violenza. Spero di rientrare in servizio, ne parlerò con i miei avvocati». Spaccarotella, nell'intervista ringrazia tutti coloro che gli sono stati vicini, in particolare i colleghi poliziotti: «Hanno riconosciuto che quanto accaduto a me poteva accadere anche a loro. Se ammazzano volontariamente un poliziotto, questo resta un eroe anonimo. Quando un agente sbaglia, o un colpo parte per errore, allora è un killer. Quel giorno dall'altra parte dell'autostrada avrebbero potuto uccidere, sequestrare, rapinare, ma io non dovevo fare nulla».