Il Dpef piace anche all'Europa
L'Europa approva. Così come la Banca d'Italia. E per l'Istat è addirittura il Documento di programamzione economica «migliore degli ultimi anni. Così il Dpef approvato ieri dal consiglio dei ministri in una votazione lampo incassa il sì di organismi economici e istituzioni. È lo stesso premier, in una conferenza stampa a palazzo Chigi, a spiegare che «tutti i presidenti e i direttori delle istituzioni finanziarie internazionali e il presidente Barroso hanno grande considerazione del bilancio italiano, ritenuto affidabile e credibile». «Questo — ha proseguito Berlusconi — è un documento che varrà per il 2010-13. È importante e persegue gli stessi obiettivi che avevamo posto l'anno scorso con il passaggio alla finanziaria triennale. Il primo obiettivo, che abbiamo raggiunto, è quello della stabilità di bilancio, e lo portiamo avanti anche negli anni successivi». Certo per l'economia italiana il periodo di lacrime e sangue non è ancora finito. Ma, come ripetono da tempo tutti gli organismi economici, nel 2010 si potrà iniziare a vedere un qualche accenno di ripresa. Negli ultimi 2-3 mesi, ha spiegato il governo, «si sono ripetuti segnali non negativi» e le «tensioni sui mercati finanziari si sono gradualmente allentate». Per questo «si sta evidenziando un'attenuazione delle spinte recessive». Così «si ipotizza la ripresa a partire dal 2010»: +0,5% nel 2010, +2% per ciascuno dei tre anni successivi. Ma soprattutto — argomenta il governo nel Dpef per evidenziare la solidità dell'Italia — se si guarda al debito aggregato, che somma l'ingente debito pubblico italiano con il basso indebitamento di famiglie e imprese, l'Italia è sotto la media Ue: il debito aggregato è al 221% del Pil, contro una media europea del 246,7%. Peggio di noi stanno Francia (229%), Regno Unito (277,5%) e Spagna (265,3%); meglio la Germania (200,1%). Uno degli imperativi dell'esecutivo è quello di «agire per trasformare l'attuale crisi in un'opportunità di sviluppo e di rilancio per l'economia italiana e più in generale di progresso sociale per il Paese». Così, per fronteggiare la crisi, l'Italia ha stanziato, banche escluse, «risorse lorde pari a circa 27,3 miliardi per il quadriennio 2008-2011 (2,7 miliardi nel 2008, 11,4 nel 2009, 7,5 nel 2010 e 5,8 nel 2011), corrispondenti all'1,8 per cento del Pil». Gli importi — non si nasconde — sono inferiori a quelli dei paesi anglosassoni, ma in Italia «non sono serviti interventi così massicci». E poi, la scelta fatta è quella di misure senza spesa che sono servite «ad aumentare la fiducia tra gli operatori e ridurre l'incertezza e l'efficienza del sistema». Soddisfatto anche Giulio Tremonti. Il ministro dell'economia spiega che le «entrate tengono» come si vede dal dato sull'autotassazione. E ribadisce che il primo obiettivo, quello della stabilità del bilancio, che è un «bene costituzionale», è stato raggiunto e riconosciuto dalle istituzioni internazionali. E a chi gli contesta l'aumento dell'indebitamento Tremonti ricorda come la crescita sia dovuta anche al pagamento dei debiti dello Stato verso le imprese che «i precedenti governi», come l'esecutivo Prodi, non facevano e per questo «risanavano». Un sistema, a detta dello stesso ministro, che «in fondo alle imprese conveniva» perché percepivano un 11% di interessi. Poi però, quando è arrivata la crisi creditizia, «le aziende si sono accorte che andavano in sofferenza». «I debiti vanno pagati — è la conclusione — e per pagarli servono i soldi, se uno trova il modo per farlo e non aumentare l'indebitamento allora gli diamo il Nobel».