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Craxi, Veltroni fa autocritica con 15 anni di ritardo

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Martedì,a sorpresa, dopo una ventina d'anni, Veltroni ha finalmente riconosciuto che «Craxi aveva ragione e Berlinguer torto», ammissione clamorosa - che ovviamente sottoscriviamo in pieno - che lascia però aperti due scabrosi interrogativi. Il primo: perché Veltroni non comunica questa sua opinione, che non riguarda una questione secondaria, ma proprio l'essenza del percorso della sinistra italiana, al suo candidato segretario Dario Franceschini? Settimane fa, infatti, il candidato alla segreteria del Pd, nel commemorare solennemente Enrico Berlinguer nella sala della Lupa alla Camera, ha ribadito, con entusiasmo, con convinzione, la perenne attualità della strategia di fondo segnata da Berlinguer, questione morale - ovviamente - inclusa. Siccome si tratta di due strategie confliggenti in tutto e per tutto, tanto che i berlingueriani, Veltroni nel gruppo di testa, tutto fecero per sconfiggere e addirittura eliminare dalla scena politica non solo il craxismo, ma anche personalmente Bettino Craxi, sarebbe carino che Veltroni - prima dei prossimi 15 anni - chiarisse se sul punto ha ragione Franceschini, oppure ha torto, e quindi sarebbe bene che il Pd dimentichi in tutto e per tutto la strategia berlingueriana e si dedichi ad aggiornare quella craxiana. Veltroni però, non lo farà, per una ragione - non accettabile - che lui stesso ha chiarito: solo ora può parlare liberamente da libero cittadino, senza i vincoli di una carica. Dunque, la riproposizione eterna della doppia verità, ereditata dal Pci togliattiano: una verità, quella ufficiale del partito, di totale fedeltà alla eredità berlingueriana (celebrata da Veltroni nel suo indimenticato libro «La sfida interrotta» del 1994); l'altra verità, quella «vera» quella a cui si crede nel proprio foro interiore, relegata però alla sfera personale. Ma c'è un'altra ragione che rende l'inedito entusiasmo politico di Veltroni per Bettino Craxi, particolarmente scabroso. Nel 2000, quando Craxi agonizzava a Tunisi senza cure adeguate, in una situazione sanitaria assolutamente deficitaria, Veltroni era un uomo potente: era segretario del Pds, il partito che esprimeva il capo del governo, Massimo D'Alema. Purtroppo però, né Veltroni, né D'Alema, pur essendo perfettamente al corrente della tragedia umana di Craxi, non mossero un dito. Non solo, non dissero nulla, assolutamente nulla, neanche sottovoce, contro la disumana posizione della Procura di Milano che continuava pervicacemente a rifiutare qualsiasi gesto di umanità e pretendeva che «il latitante», per essere curato in Italia adeguatamente, si consegnasse alle patrie galere (era condannato a 22 anni!), per essere poi ricoverato, ma piantonato e in libertà vigilata, in un qualche ospedale affidabile. Una vergogna che fu amplificata dal gesto successivo del governo guidato da D'Alema, che, appena Craxi morì, propose alla famiglia la celebrazione di un «funerale di Stato», con tutti gli onori conseguenti. Sepolcri imbiancati.

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