Ci si chiede come mai la tempesta annunciata nelle settimane precedenti il vertice dell'Aquila sia sparita così rapidamente dall'orizzonte, come portata via dal vento.
Èstata artatamente creata l'aspettativa di un grande evento giudiziario che avrebbe sconvolto l'incontro tra i grandi e messo Silvio Berlusconi alla gogna in diretta mondiale. Giornali italiani e stranieri hanno gareggiato nell'annunciare scandalose foto e imbarazzanti rivelazioni riguardanti il Premier. Per settimane, i corrispondenti stranieri, prima da Roma e poi dall'Aquila, invece di concentrarsi sui temi del G8, hanno parlato dei presunti problemi giudiziari o morali di Berlusconi. Avrebbe dovuto ripetersi — le famose «scosse» preannunciate più volte da D'Alema — l'esperienza del 1994, quando Berlusconi fu raggiunto da un avviso di garanzia, mentre presiedeva a Napoli la Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata. Visto, però, che nulla di quanto annunciato accadeva, si è scelto di spostare l'attenzione sugli aspetti organizzativi e politici del Vertice dell'Aquila. Così, s'è sollevata la questione dell'inadeguatezza del governo italiano a ospitare un appuntamento tanto importante, ammiccando ai lettori di tutto il mondo sul pressappochismo nostrano, come se il nostro Paese non avesse ospitato, dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi, decine e decine di vertici internazionali del più alto livello. Alla fine il presidente Obama ha giudicato molto «produttivo» il vertice e si è complimentato con il Governo per la perfetta riuscita dell'evento. I giornali italiani e stranieri hanno dovuto prenderne atto. Il New York Times ha cercato, maldestramente, di mostrare come gli elogi di Obama fossero diretti solo a Napolitano e non anche a Berlusconi. Altri, abbandonando bruscamente i giudizi sprezzanti della vigilia con maggior fair play, hanno sottolineato il successo italiano: («Berlusconi the statesman, not the playboy» si intitola la corrispondenza del Financial Times dall'Aquila del 10 luglio). Persino il severo Die Welt, che si era contraddistinto per una serie di attacchi velenosi contro Silvio Berlusconi, fa marcia indietro ed elogia le sue capacità carismatiche. Che ne è, dunque, in questi giorni, della credibilità dei grandi giornali italiani e stranieri? Il problema è che il giornalismo, inteso come attività di reperimento e analisi delle notizie, sta scomparendo. Le inchieste non le fa quasi più nessuno. L'attività di chi lavora nella carta stampata è diventata completamente autoreferenziale. I giornali parlano di giornali che parlano di altri giornali. Quando si va a leggere articoli sull'Italia sull'Herald Tribune o sul Financial Times, si scopre spesso che si tratta, nel migliore dei casi, del frutto di un lavoro di prodotto di copia e incolla, e relativa traduzione, di articoli usciti su quotidiani italiani. Beninteso, gli articoli che vengono spezzettati e riassemblati sono confezionati di tutto, tranne che di «fatti» nuovi. Le notizie e soprattutto le fonti stanno scomparendo dalla carta stampata: trionfano i gossip, i retroscena e, quando va bene, le analisi di scenario. Naturalmente, non vogliamo in alcun modo evocare la censura! Non parliamo della libertà di stampa, che è un valore assoluto. Ci mancherebbe altro. Scrivano quel che vogliono, i giornalisti, si accaniscano pure sui gossip e continuino a parlare un gergo ammiccante e autoreferenziale. Si rassegnino: le vendite dei quotidiani sono mediamente in calo e soprattutto le forsennate campagne di odio e melma — character assassination chiosano gli anglosassoni — contro l'avversario di turno non spostano voti. *Deputato Pdl