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In gioco la credibilità dello Stato e della Giustizia

Gabriele Sandri

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E adesso cosa accadrà? Come non pensare ad una sentenza squilibrata, scivolata verso l'odioso sospetto sintetizzato dai due pesi per due misure. Un agente di pubblica sicurezza - e le parole hanno un senso, uno spessore preciso, un valore perfetto - sbaglia. Commette un errore grave, tragico. Un ragazzo muore. Una sentenza decide che quello del poliziotto Luigi Spaccarotella - che alla stazione di servizio Badia al Pino vicino ad Arezzo la mattina dell'11 novembre 2007 spara un colpo di pistola e uccide Gabriele Sandri di 27 anni - è un gesto colposo, non volontario. Ad Arezzo ieri lacrime e rabbia al momento della sentenza dei genitori del ragazzo romano morto in modo assurdo, dei suoi parenti, dei tantissimi amici. Senso di sfiducia profonda nelle parole del padre di Gabbo, Giorgio: «È una vergogna per tutta l'Italia». Parole amarissime. Di un padre costretto contro natura a seppellire un figlio. Parole che fanno breccia nei tanti amici di Gabriele che protestano e inveiscono ora contro i giudici del tribunale di Arezzo che, dopo 8 ore di camera di consiglio, hanno trasformato l'accusa di omicidio volontario in omicidio colposo. Un nodo processuale determinante, che ha scardinato la richiesta del pubblico ministero Giuseppe Ledda a 14 anni di reclusione per Spaccatorella. Una decisione che rischia davvero di dividere il Paese.   No, qui non siamo di fronte al classico teorema che separa gli innocentisti dai colpevolisti. Qui c'è una questione delicatissima: la credibilità dello Stato, dell'ordinamento giuridico. Una credibilità messa alla prova proprio davanti a quel segmento della nostra società, i tifosi delle squadre di calcio, i giovani, le nostre nuove generazioni, che mai come in questa vicenda si sono mostrati unanimi nel ricordo di Gabriele Sandri («uno di noi») e nella richiesta della Giustizia per il suo omicidio. Ecco, questa sentenza insinua la possibilità che se un poliziotto sbaglia paga meno di un normale cittadino. E questo odioso sospetto rischia di sbriciolare le fondamenta sulle quali si basa una società civile. Vale la pena in questo momento così drammatico, di esaltare il comportamento del fratello di Gabriele Sandri, Cristiano, che ieri, davanti alle urla di insurrezione degli amici e dei tifosi presenti al Tribunale di Arezzo ha gridato: «Calma, così lo uccidiamo per la terza volta». Già, per la terza volta. La tragedia di un fratello - per giunta avvocato - che vede la richiesta di una pena equa - quella di chi spara ad altezza d'uomo, da una stazione di servizio all'altra, con le vetture che sfrecciano nei due sensi di marcia - trova la forza per parole di saggezza. Un esempio che deve essere esaltato, ma che non per questo deve annacquare il senso di sconforto di fronte ad una giustizia che troppo spesso trova il modo, con le sue innumerevoli mancanze, di deludere i cittadini.   Ecco perché, in questa tragica storia consumatasi in una fredda mattina di novembre di due anni fa, spunta l'odioso sospetto che l'uomo in divisa subisce conseguenze meno gravi rispetto ad un semplice cittadino. Per qualcuno - diciamo anche per molti, purtroppo - una certezza. Così si consuma un'altra tragedia. Che dalla sfiducia sconfina nell'irresponsabilità di chi, adesso, covando già un odio viscerale per poliziotti e carabinieri, troverà modo e maniera per «uccidere per la terza volta Gabriele». Di questo proprio non sentivamo il bisogno. La Legge Uguale per Tutti rischia di trasformarsi in un motto in cui credere più per atto di fede verso le Istutizioni piuttosto che per la loro capacità endogena di garantire giustizia ed equità. Ecco perché ora, nel rinnovato dolore della famiglia, nella rabbia degli amici e dei tifosi, nella strisciante e pericolosa voglia di vendetta che già monta tra i siti internet dei tifosi e nelle prese di posizioni di molti ultras, viene da chiedersi: cosa accadrà?

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