Gabbo, sentenza vergognosa
Sei anni. Omicidio colposo aggravato ma non volontario. Dopo oltre otto ore di camera di consiglio i giudici della corte d'assise di Arezzo hanno rigettato la tesi della pubblica accusa e accolto quella della difesa: l'agente di polizia Luigi Spaccarotella non voleva uccidere Gabriele Sandri. La sentenza viene letta tra urla e insulti degli amici della vittima, mentre il fratello Cristiano invita i presenti alla calma: «Non uccidiamo Gabriele una terza volta». Tira invece un sospiro di sollievo l'imputato: «Ho pianto di gioia - ha detto - Ho fatto bene a credere nella giustizia». I fatti risalgono alla mattina dell'11 novembre di due anni fa. Area di servizio «Badia del Pino», nei pressi di Arezzo. Le lancette segnano le 9,10. Gabriele è appena risalito nella Renault Megane con un gruppo di amici dopo una zuffa che li ha visti contrapposti ad alcuni tifosi juventini. L'auto condotta da Marco Turchetti sta per immettersi di nuovo sull'autostrada. La destinazione è Milano, dove i sostenitori biancocelesti stanno andando per seguire la «loro Lazio» in trasferta. Non ci arriveranno. Dall'altra parte della carreggiata ci sono due poliziotti della stradale di Battifolle, che hanno notato la scena. Uno è Luigi Spaccarotella, 32 anni. L'agente prima spara un colpo in aria, poi punta l'arma in direzione della vettura bianca e preme una seconda volta il grilletto. Ma qui cominciano le prime incertezze. Sul posto, infatti, verrà ritrovato un solo bossolo. E la cosa non è di poco conto, perché la difesa del poliziotto sostiene che il colpo è partito per sbaglio dopo che ne era stato esploso uno in aria a scopo intimidatorio. Il proiettile raggiunge la vettura già in movimento, buca il deflettore posteriore e trapassa il collo del giovane, provocandogli una lesione mortale alla carotide. All'inizio la Polizia e il ministro dell'Interno Amato parlano di «tragico errore». Si procede per omicidio colposo. Ma a febbraio la procura di Arezzo chiude le indagini e l'accusa diventa più pesante: omicidio volontario. Il 20 marzo di quest'anno comincia il processo. Due i punti forti della pubblica accusa: le perizie e le testimonianze. Se il consulente della difesa di Spaccarotella punta sulla deviazione netta e determinante del proiettile sulla rete di recinzione metallica che stava fra il punto dove l'agente ha sparato e il ragazzo ucciso, quelli del pm sottolineano che «l'angolo della deviazione subita non è quantificabile». Più netto il giudizio dell'esperto nominato dalla famiglia Sandri: «Non c'è stata alcuna deviazione», afferma Vero Vagnozzi. Che aggiunge: «Dal punto dove ha sparato, Spaccarotella poteva vedere l'auto solo dal finestrino in su, quindi non ha mirato alle gomme». L'agente sostiene la versione del colpo partito per caso. Ma più importanti sono i testimoni oculari. Oltre agli amici della vittima, un imprenditore e un suo dipendente, un'impiegata dell'autogrill, che descrivono i fatti, c'è una guida turistica giapponese, che sembra non avere dubbi: «Ho visto il poliziotto correre - racconta Keiko Horikoschi, che si trovava dallo stesso lato della carreggiata dell'A1 dal quale Spaccarotella ha premuto il grilletto - Poi ha puntato la pistola con entrambe le mani. Aveva le braccia tese, si è fermato cinque secondi e ha sparato». Il dibattimento si svolge in un clima aspro. Spaccarotella rifiuta di essere interrogato e rilascia solo una dichiarazione spontanea per ribadire la sua versione. I familiari di Gabriele sono chiusi nel loro dolore e chiedono «una giustizia giusta». La difesa punta sulla colpa ma nega il dolo. Il pm Giuseppe Ledda, che durante la sua requisitoria mimerà con una pistola-giocattolo il gesto dell'agente, chiede 14 anni di carcere per Spaccarotella per omicidio volontario sotto il profilo del dolo eventuale. Cioè Spaccarotella non voleva uccidere ma sapeva che questo rischio esisteva. E ci sono i presupposti per le attenuanti generiche, che fanno scendere la pena di sette anni. Alle 11,30 di ieri la Corte entra in camera di consiglio. «Incrocio le dita e prego», sussurra al telefono il poliziotto al suo avvocato. Le sue preghiere sono state ascoltate.