Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Il Pd è tutto da ridere Si candida pure Beppe Grillo

Beppe Grillo durante un comizio in piazza Maggiore a Bologna

  • a
  • a
  • a

Ha ragione Marino quando parla di «enorme questione morale» nel Pd. Ma mica per la storia dello stupratore. La grana vera è che a guidare un partito triste si propone un comico che non fa più ridere. Beppe Grillo, anni 61, scende in campo per ringiovanire la leadership dell'opposizione. L'annuncio è arrivato dalle pagine del suo democraticissimo blog, quello dove non regala mai uno straccio di risposta diretta ai suoi interlocutori. Quello stesso blog dal quale aveva spesso tuonato (magari usando caratteri neri e massicci perché si vedessero meglio sullo schermo) che non si sarebbe «mai e poi mai candidato al Parlamento». Per lui Montecitorio è un luogo immondo, nel quale pullulano facce patibolari, come in un porto australe del Seicento. Del resto, da tempo Grillo auspica, attraverso una delle sue proposte di legge, che quei malfattori dei condannati in via definitiva in qualche processo non possano sedere a Montecitorio. Tra questi, per dire, c'è anche D'Alema, ma anche lui stesso, il Robespierre dei poveri, che ha purtroppo la fedina penale macchiata da un "omicidio colposo plurimo": la tristissima vicenda di un vecchio incidente stradale. Ma per tutto si può trovare una scappatoia dialettica: basta mescolare protervia e ingegno. Saprà certamente, l'aspirante segretario, convincere i Democratici, che tra quelle "zoccole" (ipse dixit) da lui individuate a Palazzo Madama non vi sono senatrici Pd, anche se la querela che si beccò dopo l'intemerata in Commissione fu bipartisan. Non che Grillo abbia sempre torto: come quando, ridendo luciferino da un fotoritocco alla Karl Marx sopra il suo proclama internettiano, che «dalla morte di Enrico Berlinguer nella sinistra c'è il Vuoto. Un Vuoto di idee, di proposte, di coraggio, di uomini. Una sinistra senza programmi, inciucista, radicata solo nello sfruttamento delle amministrazioni locali». Vero, ma quando Topobeppe si augura di «diventare il successore di gente del calibro di Franceschini, Fassino e Veltroni», non capisci più se quella è ironia riuscita male o se si sia già persuaso della propria grandeur: in entrambi i casi, ci sarà da riflettere. Come farà l'Arruffapopoli a convincere gli elettori che alle primarie Pd del 25 ottobre sarà lui l'uomo da scegliere? Che, come sostiene, è «l'alternativa al nulla»? Se la giocherà con Dario il Traghettatore, con Ignazio lo Scienziato, con Pierluigi lo Statista: come farà ad accreditarsi anche con la stampa progressista, visto che Scalfari da tempo ripete che le sue proposte di legge sono «incostituzionali e autoritarie»? E sopratutto, ce la farà ad essere credibile come ispiratore di un futuro più ecologico e pulito, lui che è inciampato sulla scarsissima efficacia della «biowashball», quella palla da infilare in lavatrice senza detersivo, che propaganda come un imbonitore da tv locale, e che tutti i test di laboratorio definiscono «niente più che acqua calda»? Se glielo fai notare, Topobeppe s'incazza, e ti sputa un vaffa personalizzato, anche senza adunate in piazza. S'adombra quando vengono pubblicati i suoi guadagni (più di 4 milioni di euro nel 2005), s'adonta quando gli ricordano della sua Ferrari («l'ho venduta», soffia) e della barca («venduta pure quella, belin!»). Si stranisce quando gli fanno notare che le presunte lettere di Benedetto XVI e Hu Jintao a lui destinate, e come tali pubblicate sul blog, non sono altro che rielaborazioni di discorsi pubblici. E s'inacidisce come gli yogurt che reclamizzava, quando gli vien sottolineato che la sua idiosincrasia per i rom non è esattamente un viatico per comandare a sinistra. Il nucleo del suo programma? «Un'informazione libera con il ritiro delle concessioni televisive di Stato ad ogni soggetto politico, a partire da Silvio Berlusconi». Quelle reti dove non ha mai lavorato, ma dove trova buona sponda nel Gabibbo di Ricci. Dalle sponde dei giovani Pd, giudicano «un boomerang» la candidatura di Topobeppe. Qualcuno, fuori dal recinto, esulta: Di Pietro la definisce una «gran bella notizia», perché «così anche noi dell'Italia dei Valori potremo avere interlocutori ai quali non fa schifo dialogare». Bell'intesa a sinistra, con Robespierre e il Questurino. A meno che non sia tutta una boutade provocatoria, come ipotizza Fassino a tarda sera: «Grillo non è un aderente al Pd, non può correre. E non penso accetteremmo la sua iscrizione». Tiè. Stefano Mannucci

Dai blog