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Il mostro incastrato dalla «Musa»

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Bianchinistudiava Legge, leggeva i testi di criminologia, voleva pensare come gli investigatori che indagano. Ma al contrario: cercava di capire come ragiona un cacciatore per non diventare preda. La notte della violenza non portava con sé il telefono cellulare per non lasciare tracce nei tabulati. Chiedeva le chiavi dell'auto alle sue vittime. Dopo averne abusato, chiedeva i documenti delle vittime per lasciarle nel terrore, dicendo «so dove abiti, quindi stai attenta, non parlare». Bianchini è un presunto criminale che studiava come essere imprendibile. Al minimo intoppo lasciava la scena del delitto. Se la donna urlva lui fuggiva. Preparava l'agguato senza lasciare niente al caso, oscurando le cellule fotoelettriche dei cancelli dei garage facendo in modo che non si chiudessero e rimanessero sempre aperti, consentendogli una rapida fuga. Viveva a Cinecittà ma agiva in due quartieri diversi. Bianchini ha riempito uno dei primi paragrafi della letteratura del crimine a Roma. Prima di lui, ha fatto storia Joe Codino. Poi il maniaco che agiva sempre nell'ascensore. Ma uno stupratore che studia la mente dei criminali non si era mai visto. Fabio Di Chio

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