Altro che shopping nelle boutique del lusso o passeggiate frivole per le strade della capitale
Lefirst ladies, al seguito dei «grandi» della terra, sono diventate le protagoniste di un vero e proprio G8 in rosa per nulla «leggero». A tirare le somme di questi tre giorni tutti al femminile è Isabella Rauti, moglie del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e Capo Dipartimento del ministero per le Pari Opportunità. Sua la regìa dell'incontro in Campidoglio di mercoledì tra le mogli dei leader. E ieri ha guidato la spedizione delle signore al Pam (il Programma alimentare mondiale), dal titolo «Donne in prima linea per salvare vite umane» con le ministre Gelmini e Carfagna. Tracciamo un bilancio di questo G8 rosa. «Il bilancio è positivo perché oggi ho potuto confermare quella che, tutto sommato, era già una percezione. Queste donne hanno tutte uno stile concreto, sobrio e sostanziale lontanissimo dagli stereotipi a loro erroneamente attribuiti». Si potrà parlare in futuro di un G8 parallelo al femminile? «No, non è nell'ordine delle cose. Credo invece che si possa prendere spunto da questa cifra femminile. E dare un seguito alle proposte fatte con un pressing su temi di carattere sociale. Possiamo immaginare, studiare e strutturare un sistema per mettere in rete determinate idee. Il social network, come fa la Brown, può essere uno strumento tra mogli tutte impegnate». È la prima volta che le first ladies vivono un G8 in maniera così attiva... «Sicuramente questa volta l'impegno comune è stato molto evidente, un po' per lo scenario di crisi economica globale, un po' perché si è svolto in Abruzzo e ha visto il rischio ambientale in primo piano. Questo G8 si prestava di per sé a un valore particolare. E anche al pranzo di mercoledì in Campidoglio, che poteva sembrare una parentesi di relax per le first ladies, la conversazione ha affrontato argomenti come la condizione delle donne soprattutto dal punto di vista lavorativo, i diritti umani, senza trascurare argomenti quotidiani come i figli». Niente shopping, quindi? «Anche quando avrebbero avuto la possibilità di ritagliarsi un po' di tempo per andare in giro, hanno preferito visitare la comunità di Sant'Egidio». Quale delle first lady l'ha colpita di più? «Michelle Obama supera tutte le aspettative che la precedono. Ha classe innata, è molto diretta, non fa mai domande o discorsi banali, è una donna di molta sostanza e concretezza, culturalmente strutturata, di grande immediatezza comunicativa che è semplicità avvolgente. Di Sara Brown mi ha colpito il dinamismo militante nei diritti umani, in Tanzania sostiene un progetto per le donne in maternità. E della moglie del presidente sudafricano, Zuma, vale la pena di ricordare l'impegno politico. La consorte del presidente messicano è molto solare, simpatica, divertente. Margarita Barroso, poi, ha raccontato di un suo impegno in Mozambico». Questi incontri tra prime donne, hanno messo le basi per qualcosa di concreto? «Ci sono le premesse per uno stile diverso che hanno espresso tutte insieme, quasi fosse una squadra. E questo non ha precedenti. Non hanno solo accompagnato i mariti, hanno avuto un atteggiamento di responsabilità e questo contribuisce ad attirare l'attenzione su argomenti che stanno a cuore a tutte. Come, ad esempio, la salute, l'alimentazione, l'accesso ai servizi». Le paure della vigilia si sono dileguate? «L'unica paura, se così si può chiamare, era che il regalo che avevo pensato per le signore, una borsa equo-solidale, non fosse compreso. E invece ognuna ha capito e condiviso il messaggio che volevo lanciare. Il clima che si è venuto a creare, ma questa è fortuna e non merito organizzativo, è stato complessivamente informale e cordiale, per nulla ingessato». Per una volta le donne sembrano unite e alleate. Anche questo è un miracolo del G8. Che tutti si augurano abbia un seguito.