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A Viareggio 9 cadaveri da identificare col Dna

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Ilmesto compito della polizia scientifica e dei medici legali parte da questa operazione primaria, cui segue un'ispezione della salma e, se possibile, l'autopsia. L'operazione è complessa, visto che a tre giorni dal disastro ci sono ancora nove cadaveri da identificare all'ospedale Versilia e di altri sei si suppone quale possa essere il nome, ma ancora non c'è la certezza ufficiale del riconoscimento. Finora lo staff di inquirenti coordinato dai medici legali ha ufficialmente riconosciuto con certezza i corpi di quattro vittime: Maria Luisa Carmazzi, Ilaria Mazzoni, Elena Iacopini e Luca Piacentini. Le autorità sanitarie, con le proprie procedure, ne hanno riconosciuti altri sei, di cui quattro sono membri della stessa famiglia: si tratta dei marocchini Ayad - il padre Mohamed, la mamma Abou Talib e i figli, il sedicenne Hamza che ha provato a salvare la sorellina Iman - Lorenzo Piacentini e Boumalahaf Noureddin. In tutto 10 persone: ma i morti sono 19, secondo la triste contabilità aggiornata dalla Asl 12 della Versilia, e ci sarà da lavorare ancora molto su questo fronte nei prossimi giorni. Come hanno spiegato i dirigenti dell'ospedale, il riconoscimento diventa oltre modo difficile a causa delle ustioni. Ma per i cadaveri di due sorelle morte nella stessa casa, di una - Ilaria Mazzoni - uno zio ha potuto dare la certezza, firmando anche un verbale di riconoscimento, che fosse lei; non se l'è sentita però di dire lo stesso per l'altra. Eppure entrambi i corpi carbonizzati erano stati tirati fuori dalla casa insieme, il civico 20 di via Ponchielli. Ma senza certezza legale quella salma rimane a far parte dei nove deceduti considerati completamente sconosciuti. Cambia anche il capitolo feriti. Secondo la Asl sono calati a 24. Cinque sono in cura all'ospedale Versilia e sono stati giudicati in buone condizioni. Invece, gli altri 19 sono tutti in prognosi riservata. Fuori, in strada, un'anziana coppia sosta davanti all'ingresso del palazzo. Potrebbero rientrare in casa ma ancora hanno timore. «Non mi fido a salire sull'ascensore - dicono - Non mi fido ad accendere il gas». Una signora che abita a poca distanza, invece, è entrata in casa da tre ore e spera almeno stanotte di poter dormire. Sono alcune delle storie degli abitanti della zona di Viareggio fino a ieri interdetta per le operazioni di soccorso. Via Aurelia Nord è divisa in due. Sul lato stazione le case sono ancora chiuse, sul fronte opposto, invece, gli abitanti sono potuti rientrare. «Non ho avuto il coraggio di varcare la soglia - confessa Pina Adamo -. Ho paura di quello che troverò. E poi non mi fido dell'ascensore. I soccorritori ci hanno detto di stare attenti ad accendere le luci o ad aprire il gas. Non si può essere tranquilli». Con lei il marito, Roberto, che le fa coraggio. «Tranquilla - assicura -, vado avanti io, poi ti chiamo». A poca distanza dalla coppia di anziani abita Angela. «Sono tre notti che non dormo, spero almeno ora di potermi sdraiare sul mio letto e riposare un po'. Se ho paura? Non ci voglio pensare, sennò è difficile andare avanti». Anche alcuni negozi hanno riaperto. Fra questi, il centro estetico «Isola Imea» di Mariana. «In molti hanno disdetto, non so se per la paura o per lo choc subito in questi giorni. Comunque adesso si ricomincia». Andrea Marinucci è dentro la sua armeria. «Paura? No, quando uno ha vissuto quello che è successo qua a Viareggio è temprato». Carlo Malfatti abita in una palazzina di Largo Risorgimento e con la moglie ricorda il terrore e la fuga. «Se ci ripenso, mi rimane impossibile credere che siamo ancora vivi. Addirittura, mentre tutti scendevano le scale, per scappare io senza rendermi conto ho preso l'ascensore, quando si sa che nelle emergenze vanno evitati». Un gruppetto di condomini sosta davanti alla palazzina più esposta sul lato della ferrovia, che è rimasta la più danneggiata, e osserva il muro di cinta della linea che separa la strada urbana dalla linea ferroviaria. «Da vent'anni lo malediciamo, perché è brutto, tenuto male e non ci protegge dal rumore dei treni - racconta Dante Barcaroli - E invece forse quel muro ci ha salvati».

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