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Franceschini bastona D'Alema

Dario Franceschini

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Ormai era il segreto di Pulcinella. Da giorni un po' tutti aspettavano Dario Franceschini al varco. Il risultato delle europee e delle amministrative, meno disastroso del previsto, era il preludio ad una sua ricandidatura alla guida del Pd. E infatti, ieri, il segretario democratico ha rotto gli indugi ed è sceso in campo. Lo ha fatto con un videomessaggio su internet dal sapore vagamente berlusconiano. Una riedizione moderna della discesa in campo del Cavaliere. Telecamera fissa, libreria bianca sullo sfondo e faccione di Franceschini in primo piano. Tanto che Miti Simonetto, la donna che da oltre vent'anni cura l'immagine di Berlusconi, ironizza: «Meglio tardi che mai. A sinistra hanno finalmente capito, dopo quindici anni, quanto possa essere efficace il piccolo schermo, sia che si tratti di televisione sia che si tratti di internet. Del resto loro capiscono tutto con molto ritardo, per nostra fortuna». Ma al di là della forma è il contenuto che scatena il dibattito. Perché quella di Franceschini è una vera e propria «dichiarazione di guerra». In fondo era stato lui a dire che il suo lavoro sarebbe finito ad ottobre. Cosa lo ha spinto a cambiare idea? «Pensavo che raggiungendo questi risultati - spiega - fosse possibile al Congresso passare il testimone a nuove generazioni, più libere da appartenenze ormai del passato, più libere da vecchi rancori. In questi giorni, purtroppo ancora prima dei ballottaggi, ho visto invece riemergere molti degli errori compiuti, dal protagonismo alle litigiosità sui giornali». E siccome Dario è un uomo con un cuore grande non si sente di tradire tutti coloro a cui ha promesso, in campagna elettorale, che «quella stagione di errori era ormai definitivamente alle nostre spalle». Per questo si candida. «Per portare il Pd nel futuro, per cambiare - insiste -. Per non tornare indietro. Perché non posso riconsegnare il partito a quelli che c'erano prima di me, molto prima di me. Non farò nessun accordo di palazzo. Nessuno scambio di incarichi tra big, nessun patto, nessuna garanzia. Ascolterò chi ha avuto ruoli e responsabilità nel governo e nella politica dal 1996 ad oggi, ma investirò su una nuova squadra di donne e uomini, cresciuti nella militanza e nel buongoverno sul territorio». Insomma Franceschini non nomina mai i suoi «avversari» ma il suo messaggio suona più o meno così: se non volete consegnare il Pd ai soliti D'Alema e Bersani, scegliete me. E non è un caso che, a stretto giro di posta, arrivi la replica stizzita del braccio destro di Baffino Nicola Latorre: «Abbiamo bisogno di un congresso che parli all'Italia, di un confronto trasparente e costruttivo. Non è un buon inizio impostarlo contro un passato che ha avuto luci ed ombre e di cui Franceschini è stato uno dei principali protagonisti». Mentre Bersani si limita ad un commento laconico: «Non parlerò mai "contro" ma "per". Il primo luglio (data dell'iniziativa pubblica nella quale lancerà la sua piattaforma) comincio a parlare di politica. Ci sarà qualche centinaia di persone. Ho mandato inviti alla nuova generazione già in campo: amministratori, segretari di circoli, parlamentari». Intanto cominciano a delinearsi gli schieramenti in campo. D'Alema, Letta, Bindi e Prodi hanno già scelto Bersani. Fioroni, Veltroni e Fassino stanno con Franceschini. Ma il pressing da una parte e dall'altra resta intenso. E non è escluso che, alla fine, parte di fassiniani voti Bersani o gli uomini più vicini alla Bindi scelgano Franceschini. Restano alla finestra, per ora, Rutelli, Parisi e Bettini. La sfida è iniziata e l'esito non è mai stato così incerto.

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