«Finalmente abbiamo un congresso vero»
Nonfatica ad ammettere che, quella di Franceschini, è la candidatura a cui personalmente si sente più vicino. E forse è una cosa naturale visto che Giorgio Tonini, senatore del Pd con passato diessino, è stato uno dei più ascoltati consiglieri di Walter Veltroni. Cioè il segretario che, ancora pienamente in carica, fu costretto a fare i conti con la discesa in campo di Pier Luigi Bersani. Senatore, a qualcuno il discorso di Franceschini non è piaciuto. «Perché?» Beh, quell'attacco al passato, quel «non voglio riconsegnare il partito a chi c'era molto prima di me».... «Io credo che noi tutti, giovani e anziani, abbiamo costruito, in anni e anni di lavoro, un partito che sia per i nostri figli e i nostri nipoti. Non per i nostri padri e i nostri nonni. Guardiamo avanti, molto avanti a noi, e non indietro. Credo che quello di Dario sia l'approccio giusto. Dobbiamo fare un partito per il futuro dell'Italia». E la storia? La tradizione? «Tutti noi abbiamo medaglie e qualche ferita della storia. Ma è giunto il momento di voltare pagina. Sa qual è la cosa che più mi colpisce e tormenta in questi giorni?» No, quale? «Il crollo della partecipazione al voto. Ai ballottaggi per le province sono andati alle urne meno di un italiano su due. Gli italiani, che dal 1994, hanno scelto per cinque volte alternativamente il centrodestra e il centrosinistra, oggi sono critici con entrambi. I Poli appaiono inadeguati alle grandi sfide del Paese. C'è una crisi della politica. Serve una svolta rispetto al passato». Franceschini è quella svolta? «Il Pd è nato per questo. Per imprimere una svolta culturale e politica nel campo del centrosinistra. E per innovare il personale politico». Scusi, ma le pare che Franceschini, uno che militava nei giovani della Dc, sia il nuovo che avanza? «Dalle mie parti si dice che i leader non si fanno in Val Gardena. Non si fanno come le statuette di legno. Dentro il programma enunciato da Franceschini c'è una volontà di innovazione». E dov'è che serve questa innovazione? «Anzitutto nella proposta politica. Noi dobbiamo ricostruire un sistema di alleanze di centrosinistra ma al centro deve esserci il programma. Serve un'alternativa di programma non una coalizione tenuta insieme da un comune avversario. Poi dobbiamo abbandonare la cultura difensiva dello status quo e rilanciare l'idea riformista. L'Italia così com'è non ci piace, vogliamo un Paese più competitivo, dove i giovani trovino spazio per esprimer i loro talenti. Infine serve un partito aperto alle energie che ci sono nella società italiana da dove deve uscire una nuova generazione di dirigenti». Ma questo era il programma di Veltroni? Perché Franceschini dovrebbe riuscire laddove lui ha fallito? «Questo è il programma ancora inattuato del Pd e sono felice che ci siano assonanze nella parole di Franceschini. L'impresa è così grande e importante che ognuno fa un pezzo di strada. È bene che ci sia una staffetta. Spero che attorno a Franceschini cresca una nuova generazione che faccia un altro passo in avanti». Quindi Bersani è il vecchio e Franceschini il nuovo? «Io parlo della proposta cui mi sento più vicino. Mi auguro che anche dall'altra parte ci sia il desiderio di guardare al futuro. Una cosa è certa per la prima volta abbiamo un congresso aperto nei suoi esiti e competitivo. Una vera competizione tra candidature alternative che in passato non c'era». Non teme che questi cinque mesi di battaglia dilanieranno il Pd? «Attorno a Franceschini e Bersani si stanno riconoscendo personalità che mescolano le provenienze. Siamo entrati in un congresso che guarda avanti e non indietro. Ora è importante che i due candidati presentino due piattaforme chiare, non diplomatiche che affrontino tutti i nodi da sciogliere. Se la battaglia sarà sui contenuti del progetto politico del Pd sarà a viso aperto e senza veleni. E ne usciremo uniti e più forti». Nic. Imb.