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Pasdaran pronti a eliminare tutti gli oppositori

Un ufficiale iraniano da l'ordine di caricare

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La minaccia più grande a Teheran, in questo momento, arriva dai Pasdaran. Sono loro che ieri, con un comunicato ufficiale, hanno annunciato che «i Guardiani della Rivoluzione islamica e i coraggiosi Basiji» sono determinati a «seguire gli ordini della Guida Suprema e ad agire con la forza per far tornare la pace e la tranquillità e ripulire il Paese dai cospiratori e dai teppisti». Facendo appello ad «un complotto contro la rivoluzione» i giovani volontari paramilitari, subordinati al corpo istituito da Khomeini, stanno compiendo in questi giorni la repressione più aspra, ritenuti responsabili anche della morte della giovane Neda, sabato scorso. Molto più della polizia, che dichiara di muoversi entro i limiti delle regole anti sommossa (che non prevedono il ricorso alle armi da fuoco contro la popolazione), sono i Basiji, praticamente coetanei dei manifestanti, a intimidire la gente di Teheran, grazie anche al potere che i Pasdaran hanno guadagnato durante la presidenza Ahmadinejad, radicandosi sempre più nei meccanismi del potere e all'interno delle città, attraverso le loro emanazioni nelle moschee o nelle università. Gli agenti iraniani stanno lavorando sodo, invece, per quel che riguarda gli arresti: 457 i manifestanti fermati e identificati, sabato, secondo lo stesso della capo della polizia, Azizallah Rajabzadeh. Tra loro dovrebbero esserci cinque europei, tedeschi, britannici e francesi, accusati di spionaggio per aver partecipato alle proteste in piazza Azadi. Il controllo capillare, insieme al monito giunto dai Guardiani della Rivoluzione, non ha tuttavia impedito ai dimostranti di scendere in piazza, ieri, sulla scia del nuovo invito di Mousavi a continuare con proteste pacifiche, perché «denunciare bugie e brogli» è «un diritto», e di Kharroubi a ricordare la ragazzina sedicenne, divenuta un'icona tragica. Un migliaio di persone - diecimila secondo alcuni post su Twitter- si è riunito ad Haft-e-tir Square, ma il gruppo è stato disperso nel giro di un paio d'ore, dai gas lacrimogeni. Sessanta gli arresti. I segnali che arrivano qui, fuori dall'Iran, fanno presagire un calo di partecipazione, forse per la stanchezza e la paura; ma c'è chi testimonia che i raduni sono resi difficili anche dalle comunicazioni telefoniche, controllate e tagliate all'utilizzo di parole chiave come «Guida Suprema» o «manifestazione». Tra i fattori demotivanti non va dimenticato il verdetto del Consiglio dei Guardiani che, ieri, hanno fatto sapere di non aver riscontrato «irregolarità rilevanti» nel voto del 12 giugno, nonostante alcune stranezze denunciate dai tre candidati, come numeri di voti superiori al numero dei votanti in 50 distretti. Il portavoce dell'organo, Abbas Ali Katkhodai, ha riferito che se anche le schede nelle zone contestate fossero tre milioni, «il risultato nazionale», che vede Ahmadinejad rieletto con quasi il 63% delle preferenze, non cambierebbe. Dietro le quinte, però, ci sono voci che vogliono 40 degli 86 membri dell'Assemblea degli Esperti, guidata da Rafsanjani, firmatari di un documento in cui sichiede di annullare le elezioni; mentre lo stesso Rafsanjani, secondo alcuni media arabi, starebbe lavorando all'estromissione del rivale Khamenei, con l'appoggio del grande ayatollah sciita iracheno, Al Sistani.

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