Teheran nel caos, spari e vittime Dura repressione agli oppositori
Dopo la lunghissima giornata di scontri che, sabato, ha lasciato sul campo almeno dieci manifestanti morti (19 secondo la Cnn), a Teheran ha preso forma lo spettro della guerra civile. L'Iran si è risvegliato con una ferita profonda, ancora sanguinate, nonostante verso l'alba i mezzi del comune abbiano ripulito le strade della capitale, tentando di cancellare i segni di una battaglia violenta e tragica. Per la prima volta, anche i canali ufficiali hanno fornito il proprio bollettino di guerra, abbandonando la strategia del silenzio, proprio mentre il corrispondente della Bbc veniva messo alla porta e la chiusura della sede iraniana di Al Arabiya prorogata «fino a nuovo ordine». Il canale televisivo governativo Press Tv ha spiegato quanto accaduto sabato con la presenza di «elementi terroristici» all'interno dei cortei, mentre la Irib ha parlato di dieci vittime. La battaglia per le strade è rimbalzata in maniera parossistica sulla rete, toccando il livello massimo di drammaticità con le immagini di Neda, la ragazza uccisa dai colpi sparati da Basiji, che è subito diventata l'icona per il movimento di lotta; per loro Amirabad Street è già «Via Neda». La situazione non è, comunque, ancora calma a Teheran. Secondo i messaggi pubblicati su Twitter, alcuni scontri sarebbero avvenuti in piazza Baharestan, poco più a sud dell'Università Statale. Secondo altri blogger, invece, ci sarebbero disordini in una zona di Tehranpars, periferia sud-est della capitale. La Reuters ha riportato, invece, testimonianze di spari nella parte nord della città, mentre la Cnn ha mostrato un video amatoriale in cui si vedono alcune persone urlare «Morte al dittatore» e «Non abbiate paura!Restiamo Uniti». Ma non è chiaro se si sia trattato di piccole dimostrazioni o di semplici assembramenti dispersi dalla polizia, che oramai ha l'ordine di intervenire anche di fronte a gruppuscoli. Intanto, ieri, è stata la volta di Khatami che ha avvertito sulle conseguenze del continuare a proibire le manifestazioni, chiedendo di liberare i dimostranti arrestati finora e proponendo un'inchiesta di una commissione imparziale sul voto del 12 giugno scorso. La spaccatura interna al Paese è, ormai, sempre più netta con un fronte moderato-riformista che non pare voler tornare sui propri passi e con diversità di vedute che fanno capolino anche a livello istituzionale. Ieri, infatti, il presidente del parlamento iraniano, Ali Larijani, noto per essere stato rimosso dal ruolo di negoziatore sul nucleare per via dei rapporti difficili con Ahmandinejad, ha chiesto che sia ascoltata «l'opinione di tutta quella gente che crede che i veri risultati elettorali siano diversi da quelli annunciati ufficialmente», sottolineando che esiste una linea di demarcazione «fra loro e i rivoltosi miscredenti». Lo speaker del Majlis ha fatto da megafono al governo, però, per quel che riguarda le accuse rivolte all'Occidente, e in particolare a Stati Uniti e Gran Bretagna, dal presidente in carica e dal ministro degli Esteri, Manoucher Mottaki. «Vi consiglio di modificare il vostro atteggiamento fatto di ingerenze, altrimenti non farete parte della nostra cerchia di amici», ha dichiaro, ieri, Ahmadinejad nel corso del suo primo discorso pubblico, dopo quello con cui Khamenei ha messo a tacere i dubbi sulla legittimità della sua rielezione. Gli ha fatto eco Lariani, definendo «vergognose le posizioni di Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Francia» e chiedendo alla Commissione Affari Esteri e Sicurezza del Parlamento di «mettere in agenda la rivalutazione dei rapporti con i tre Paesi europei».