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Taradash: "Il referendum? E' morto e sepolto"

Marco Taradash

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«Un istituto ormai morto e sepolto. Senza nessuna possibilità di resurrezione». È caustico il giudizio di Marco Taradash, ex radicale e referendario della prima ora, sull'efficacia, oggi, del referendum. Eppure per lungo tempo le consultazioni referendarie hanno consentito la modernizzazione del Paese. «Il meccanismo si è inceppato nel 1999 quando nel referendum per l'abolizione della quota proporzionale nelle elezioni politiche il quorum non fu raggiunto per soli 200 mila voti. A quel punto fu chiaro che il modo più semplice per sconfiggerlo era l'astensione. Da allora la partita è falsata. Chi è per il «no» all'abrogazione di una norma gioca in una situazione di vantaggio». Dunque non serve più a nulla? «Lanciare una campagna referendaria oggi ha solo un valore politico. Si lancia un dibattito su un tema ma niente di più». I dati non sono ancora definitivi ma anche la consultazione di oggi (ieri ndr) non sembra aver molte possibilità di andare in porto. «Oltre a quello che ho detto questa volta ci sono una serie di concause che ne spiegano il fallimento. La prima è che la raccolta delle firme partì all'epoca del governo Prodi quando sembrava necessaria una nuova legge per garantire una maggiore governabilità. Un'esigenza oggi superata. Poi la data fissata a fine giugno non motiva a votare nemmeno i più convinti». La meterologia questa volta non favoriva la gita al mare. «Però è la testa della gente che sta già in spiaggia. Certo se si fosse tenuto a maggio l'affluenza sarebbe stata più alta ma non penso in misura tale da raggiungere il quorum». Si è persa un'occasione per una nuova legge elettorale. E ora? «Resta tutto così anche se la legge attuale non ha molti sostenitori. Persino il ministro Calderoli, che ha contribuito a scrivere le attuali norme, ha chiesto modifiche. Ad esempio quella di fare circoscrizioni più piccole per far recuperare agli elettori un minimo di contatto con gli eletti». Ci si arriverà? «Non sarò facile. Il sistema elettorale oggi è una comodità per i segretari dei partiti. Che sono ormai piccoli feudi senza democrazia interna. Certo in politica non si può mai dire» Torniamo al referendum. Il ministro La Russa ha proposto di abbassare il quorum per rivitalizzarlo. Che ne pensa? «È un via praticabile. La logica vorrebbe che il quorum venga eliminato del tutto. In alternativa si potrebbe pensare che il referendum sia vinto dai «sì» se questi raggiungono il 25% più uno dei voti validi indipendentemente dai votanti. È come se ci fosse ancora il quorum del 50% e che i «no», pur non avendo partecipato, avessero preso il 24,99% dei voti. In entrambi i casi la partita tornerebbe ad essere ad armi pari». Il flop del referendum non sarà legato alla disaffezione politica degli italiani? «Gli italiani quando hanno l'occasione di andare a esprimere un voto politico o amministrativo vanno ancora ai seggi. La disillusione è creata dal fatto che c'è una scarsa partecipazione politica alle scelte. Non ci sono più strumenti intermedi, come i partiti di un tempo, che offrivano spunti e confronti interni. Pesa poi il fatto che le riforme restano solo annunci». Perché? «Abbiamo un partito conservatore di destra e uno di sinistra. Parlano entrambi di riforme da 20 anni ma nessuno le ha mai fatte. Molte responsabilità sono della sinistra che ha delegittimato Berlusconi solo sul piano personale e con lui tutta la politica». Soluzione? «Una riforma costituzionale accompagnata da una nuova legge elettorale. Se ne parla da anni ma, finché non arriveranno, la transizione non sarà conclusa».

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