Berlusconi non molla: "Avanti con il programma"
E se alla fine si dimettesse? La domanda circola da giorni. Da quando, con il nuovo filone di Bari, la campagna contro Silvio Berlusconi ha ripreso vigore. L'ipotesi che alla fine, stremato, il premier possa decidere di mollare tutto, affascina sicuramente l'opposizione che, per dirla con le parole di Massimo D'Alema, deve solamente farsi trovare pronta in «caso di scosse». E sicuramente non lascia tranquilla la maggioranza. Finora, però, la cosa sembrava più che altro oggetto di discorsi da corridoio. Niente di concreto. Almeno fino a sabato quando il professore Alessandro Campi, uno degli uomini più vicini a Gianfranco Fini (è il direttore scientifico della sua fondazione Fare Futuro), ha trattato il tema con un articolo sulle pagine del Giornale dell'Umbria. Anche lui, per la verità, parla di «scenari cervellotici, ipotesi che reggono bene a tavolino, tipici della politica fatta con le chiacchiere». Ma poi prosegue: «Chiediamoci piuttosto cosa accadrebbe se Berlusconi fosse costretto a farsi da parte, in modo ignominioso, per una storia di donne. Sarebbe, semplicemente, il caos». «Il suo bilancio, dopo quindici anni - aggiunge -, potrà apparire deludente e francamente fallimentare, ma nessuno può contestare che egli abbia sempre vinto (e perso) per ragioni schiettamente politiche, per ciò che ha pubblicamente detto e promesso agli italiani, per ciò che ha realizzato quando è stato al governo, per il modo con cui ha dato voce e rappresentanza ad una vasta maggioranza di connazionali». Quindi un avvertimento: «Attenti - a destra come a sinistra, soprattutto a sinistra - nell'immaginare scenari politici talmente perfetti da risultare perfettamente irrealizzabili. Guai a non considerare i guasti incalcolabili per l'Italia che un'eventuale caduta di Berlusconi, in questo clima, con queste modalità, inevitabilmente produrrebbe. La verità è che senza rendersene conto molti, forse perché offuscati dall'odio o da un eccesso di ambizione, stanno scherzando con il fuoco. Ma una volta appiccato l'incendio non ci sarà salvezza per nessuno». Ora non è chiaro se, nelle parole di Campi, si nasconda la difesa del Cavaliere che Fini non ha mai pronunciato pubblicamente. Né è facile capire chi siano coloro che, a destra, immaginano e sperano un futuro passo indietro di Berlusconi. Fatto sta che l'analisi del politologo testimonia i timori che agitano il centrodestra. E mette in guardia da uno scenario apocalittico: un premier dimissionario con l'Italia che prova con difficoltà ad uscire dalla crisi, con il G8 alle porte, con la ricostruzione nelle zone terremotate da terminare e chi più ne ha più ne metta. Un disastro. Anche perché difficilmente il Pd, impegnato in una sanguinaria battaglia precongressuale, riuscirebbe a costruire in così breve tempo un'alternativa credibile. Insomma se Berlusconi dovesse lasciare Palazzo Chigi non converrebbe a nessuno. Ma l'ipotesi esiste e stuzzica anche i giornali stranieri. Per El Pais, ad esempio, «la vecchia storia d'amore fra Silvio Berlusconi e gli italiani naviga verso un finale imprevedibile». Secondo El Mundo, invece, «molti pensano che lo scandalo erotico-festaiolo di cui è portagonista da vaerie settiamane, e che continua a crescere, potrebbe provocare la caduta finale di chi finora sembrava politicamente immortale». E dall'Inghilterra arriva la voce del politologo James Walston (intervistato da Daily Telegraph e Guardian) secondo cui «il governo di sicuro non crollerà nel prossimo futuro anche se Berlusconi è certamente più debole». Sarà, ma intanto il premier continua a mostrarsi tranquillo. Ieri si è recato nel seggio della scuola media Dante Alighieri ai sostenitori che non invitavano a «non mollare» ha risposto secco: «Perché non dovrei tener duro? Adesso facciamo un incontro in cui mettiamo giù il programma di governo del prossimo anno». Poi, incurante di una ragazza che lo contestava («Vergogna, fategli le domande sulle zoccole. È un puttaniere» ha urlato rivolta ai giornalisti) e dopo aver assicurato che non venderà villa La Certosa, ha proseguito: «Il programma è tutto da realizzare. Ci sono cose impossibili perché abbiamo ricevuto una eredità che è pesante. Quando uno ha il 110% del Pil come debito tutto diventa difficilissimo». Per fare di più ci vorrebbe il presidenzialismo ma, ha spiegato, «Una riforma costituzionale così forte non si può fare però, se c'è una divisione così assoluta tra una parte e l'altra. Le riforme che si possono fare sono quelle accettate da tutti, altrimenti uno fa una violenza rispetto agli altri, anche se avremmo i numeri per farle. Quando si fa una riforma così importante, è necessario che la maggioranza del Paese sia decisa verso quella direzione». Se la riforma in senso presidenzialista risulterà impossibile, è allora necessario, secondo Berlusconi, reintrodurre la modifica che già era stata fatta con la devolution per dare maggiore potere al presidente del Consiglio che oggi è solo «primus inter pares»: «Non è logico che in una squadra se uno non funziona non possa essere sostituito». Anche se, per sostituire lui, bisognerà aspettare ancora un po'.