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Mastella: "Vogliono fare di Silvio un capro espiatorio"

Silvio Berlusconi e Clemente Mastella

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Sembra passato un secolo. I titoli in prima pagina, le foto, la moglie arrestata, le dimissioni. Poi il clamore scema e nessuno si ricorda più di quel che è successo. Non lui. Clemente Mastella non dimentica. Non dimentica quei terribili mesi a cavallo tra la fine del 2007 e gli inizi del 2008. Come potrebbe. Quella vicenda non portò solo alla caduta del governo Prodi, ma costrinse l'ex ministro della Giustizia in un angolo da cui è uscito lo scorso 6 e 7 giugno: 111.710 preferenze e eurodeputato eletto nelle file del Pdl. Non solo. A quel periodo, e alla sua esperienza politica, Mastella ha dedicato il suo ultimo libro presentato venerdì a Benevento (e scritto con il giornalista Marco Demarco). Titolo: «Non sarò Clemente. Memorie dell'ultimo democristiano». Onorevole, la prendiamo in parola. Non sia clemente. Cosa ne pensa della vicenda in cui è coinvolto il premier Silvio Berlusconi? «Mi sembra che ci sia una ciclicità. In questi giorni mi sembra di ripercorrere la vicenda storica di Leone che fu costretto a dimettersi e poi, 20 anni dopo, Pannella e Bonino gli chiesero scusa. Vent'anni dopo!!»   E dov'è la ciclicità? «In una certa forma di interferenza. Nella ricerca di un capro espiatorio contro cui scatenarsi. In questo antagonismo a tutti i costi in cui si pensa solo a distruggere l'avversario politico. C'è quasi uno schema, un format che si ripete. Non voglio fare analogie, ma questa non è politica. È perversione della politica. Poco più di un anno fa io ero il simbolo della casta, non si parlava d'altro. Oggi è come se la casta non esistesse. Eppure non è cambiato nulla». Lei, toccato dalle inchieste giudiziarie, si dimise. Crede dovrebbe farlo anche Berlusconi? «Non voglio fare parallelismi. Io mi dimisi a causa dell'arresto di mia moglie, una misura straordinaria normalmente usata per i camorristi. Tra l'altro la richiesta d'arresto era stata fatta 3 mesi prima. Quindi la vicenda è diversa, non c'era questo dato di pruriginosità che c'è oggi».   In realtà lei venne attaccato anche per delle foto che la ritraevano mentre saliva a bordo di un volo di Stato con suo figlio. «E nessuno parlò di sicurezza o insicurezza. Venni fotografato mentre scendevo da un volo di Stato in un aeroporto militare ma nessuno parlò di rischi, della possibilità di finire vittima di attentati. Neanche il Copasir del tempo si riunì». Che idea si è fatto? Perché quell'attacco? «Io pagai un prezzo enorme perché tentai di conciliare l'inconciliabile». Cioè? «Lavorai per cercare di evitare conflitti, di armonizzare il rapporto tra magistratura e politica. Ma evidentemente c'era qualcuno a cui quello scontro faceva comodo». Forse la magistratura che, sempre di più, sembra aver sostituito la politica? «Esiste una differenza tra il colpire l'illegalità e il colpire l'immoralità. Quello spetta ai cittadini e alle istituzioni. Non può essere un compito della magistratura». Di sicuro, in questo, la politica non è esime da colpe. «I politici gridano forte quando vengono colpiti personalmente. Altrimenti gli fa comodo ottenere lo scalpo dell'altro. Per questo servono delle regole che, garantendo l'autonomia della magistratura, evitino i conflitti tra le due sfere».   Provvedimenti come quello sulle intercettazioni? «C'era un testo che avevo messo a punto, votato all'unanimità. E questo ne avrebbe reso più semplice l'approvazione. Io sarei ripartito da lì. In fondo vi si garantiva l'attività investigativa e la difesa della privacy». Invece il governo ha preso un'altra strada. Cosa ne pensa del testo in discussione in Parlamento? «Io credo che se occorrono dei correttivi bisogna farli al Senato. Tutti insieme. Anche perché si tratta di un dato neutro. La difesa del cittadino, la tutela delle sue conversazioni e della sua privacy tocca tutti. Si tratta di fissare un sistema di regole. Regole su cui si fonda la nostra civiltà».   Lei, nel sottotitolo del suo libro, si definisce «l'ultimo dei democristiani». Qualcuno non sarebbe d'accordo. «È stata una scelta editoriale. Diciamo che sono uno degli ultimi. In ogni caso è un modo per sottolineare che ho sempre conservato la mia natura, non sono mai cambiato». Cosa significa essere democristiano oggi? «Significa addolcire gli spigoli. Trovare risposte che, in termini assoluti, spettano al governo. Ma in termini politici nascono dalla ricerca del consenso degli altri». Se lei è uno degli ultimi chi sono gli altri? «In realtà in giro non vedo molti democristiani».   Neanche Casini? «Loro dicono che la Dc è morta». Alcuni cosiddetti ex Dc militano nel Pd. Cosa ne pensa? «Penso che il Pd sia stato un progetto sbagliato in partenza. Non si possono mettere insieme due linee così diverse. Ci sarà sempre qualcosa che non va. Il fallimento del Pd si vede nel fatto che oggi è costretto a rincorrere formule ad effetto di natura passeggera piuttosto che fare politica». Eppure lei è stato al governo con la sinistra? Quindi anche quel progetto era sbagliato? «Il progetto del centrosinistra con il trattino, o con il trattone come dicevo io, era giusto. E infatti ha vinto. Poi ha avuto problemi a governare. Ma non solo per colpa mia come si vorrebbe far credere. Nel 1998 io non c'ero». Intanto lei è passato con il centrodestra. È il Pdl il progetto giusto? «Nel centrodestra bisogna costruire il partito. Bisogna rendere praticabile sul piano territoriale l'intuizione iniziale. Ma queste sono solo le analisi politiche di uno che guarda ciò che succede dal buco della serratura». È pur sempre un eurodeputato neoeletto del Pdl.  «Io sono stato più fortunato di altri. Non capita a tutti di avere una prova di appello. E il consenso popolare che ho raccolto dimostra che l'opinione pubblica considera un'ingiustizia ciò che mi è successo». Anche Berlusconi punta tutto sull'opinione pubblica. «Non voglio entrare nel merito delle vicende che coinvolgono il premier. Dico solo che, in altre occasioni, avrei avuto maggiore diffidenza. Dopo quello che mi è successo, invece, sono naturalmente portato a sodalizzare con chi diventa vittima di queste offensive». Offensive che, è l'impressione, colpiscono sempre da una parte. «Sicuramente c'è un'oasi protetta per ragioni ideologiche. C'è una sorta di doppiezza togliattiana. Se sei alleato vieni difeso, altrimenti no».

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