Il confronto tra governo, azienda, sindacati e regioni sul futuro della Fiat in Italia era particolarmente atteso.

Anchenei momenti di autentico tifo nazionale per l'avventura verso l'espansione internazionale prima negli Stati Uniti e poi, senza ancora successi, in Europa, non era mai stata accantonata la preoccupazione per la situazione dei 5 stabilimenti fondamentali in Italia. Come un controcanto, anche nei momenti del successo sancito dalle parole lusinghiere partite dalla Casa Bianca, c'era sempre sullo sfondo chi segnalava il rischio che a tanta espansione estera corrispondessero altrettante dismissioni interne. Il piano presentato ieri da Sergio Marchionne, ribattezzato Mister Fiat da Silvio Berlusconi, ha tacitato quel controcanto e ha risposto, concretamente, ai molti dubbi che ancora circolavano. Certo, Marchionne ha anche chiarito che non tutto è in mano alla Fiat e che quindi il destino della produzione automobilistica in Italia e dei tanti lavoratori che in essa sono impegnati è anche affidato al mantenimento degli impegni presi dal governo e dalle regioni e alla loro volontà di giocare tutti dalla stessa parte in questa sfida. E non è da meno il ruolo di stabilizzazione, per puntare a obiettivi di medio termine, che può esercitare il sindacato consentendo relazioni industriali moderne e lungimiranti. La voce più critica è quella della Fiom, i metalmeccanici della Cgil, che individua una forte debolezza nell'annuncio della razionalizzazione per lo stabilimento siciliano di Termini Imerese, nel quale dovrebbe essere interrotta la produzione di automobili pronte per il mercato. Da parte sindacale però andrebbe notato, in parallelo, l'impegno fortissimo per rivalutare un altro stabilimento molto importante per la tenuta dell'occupazione nel Mezzogiorno, quello di Pomigliano d'Arco, dove verranno mantenute le attuali linee di produzione e verrà aggiunta una nuova piattaforma. Mentre per Termini Imerese non si è parlato di chiusura o di riduzione degli organici ma di riconversione verso altre produzioni. Insomma, il vero messaggio forte di Marchionne è che non si chiude niente in Italia. E non solo per responsabilità sociale. Non è un'opera di bene quella della Fiat ma è un progetto che nasce da una convinzione: in una fase di apertura del mercato verso nuovi modelli e nuovi concetti di automobile sarebbe miope rinunciare a stabilimenti produttivi dove c'è una consolidata disponibilità di esperienza e capacità tecnica. L'automobile del futuro sta nascendo, l'enfasi messa da Barack Obama sull'importanza dei brevetti Fiat nell'efficienza dei motori non è vuota propaganda politica: è proprio in una fase come questa che bisogna mantenere la forza produttiva inalterata. Dopo, quando la selezione avrà fatto il suo lavoro, quelli che ora sembrano pesi potrebbero diventare potentissime risorse.