Elezioni in Iran, esplode la rabbia
Moussavi chiede l'annullamento
È una bufera, un'esplosione di rabbia e di dissenso e una dura repressione, con morti e l'arresto del candidato sconfitto, il vero risultato delle decime elezioni presidenziali in Iran. La riconferma del presidente Mahmoud Ahmadinejad alla guida della Repubblica islamica, sorprendente per la percentuale bulgara di voti, il 62,63%, pari a circa 24 milioni di persone, ha scatenato a Teheran un'ondata di proteste che si è andata gonfiando nel corso di tutta la giornata. Migliaia di giovani iraniani hanno sfilato nelle piazze e nella strade, inizialmente in modo pacifico, per manifestare contro l'esito delle urne che ha penalizzato in modo netto, e dubbio, il candidato dell'area riformista dato per favorito, Mir Hossein Moussavi, uscito dallo spoglio con il 33,75 % dei voti, circa 13 milioni su un totale di 39 milioni di elettori. E proprio Moussavi, in serata, pare sia stato arrestato mentre agli altri due candidati, Mohsen Rezai e Mehdi Karroubi sono andate le briciole: 1,73% a uno e lo 0.85 % all'altro. Dura la risposta delle forze dell'ordine che già dalla sera prima erano state allertate e sistemate a presidio dei punti di possibile raduno. Per ordine del capo della polizia, infatti, ogni assembramento era stato vietato nel corso delle ore successive alla chiusura delle urne; provvedimento confermato ieri dal ministero dell'Interno che ha dato via libera a una repressione che ha causato decine di feriti e almeno 3 morti. Chiuso anche il giornale di Karroubi. Ieri, da Vanak Square fino a Valiasr Square, dal nord al centro della capitale, passando per la via principale, cariche delle forze dell'ordine hanno accolto le manifestazioni che dalla tarda mattinata fino alla sera si sono susseguite senza interruzione. «Allah Akbar», «Meglio morire, piuttosto che essere umiliati» e «Morte al regime che inganna» risuonavano per le strade; gli stessi motti che trent'anni fa venivano intonati contro lo scià. I giovani hanno chiamato all'unità tutti gli altri iraniani, «Non abbiate paura; restiamo uniti», scoperchiando un pentola tenuta per troppo tempo sotto pressione. Il timore che la festosa onda verde che nei giorni precedenti al voto ha intasato Teheran si trasformi in un'ondata di protesta difficilmente gestibile ha spinto il governo alla repressione militare. In molti, qui, temono che la situazione degeneri. Ieri mattina, prima che scoppiasse il caos, a Teheran si respirava un'atmosfera quasi irreale: mesta e raggelata. Una calma, preludio di quello che sarebbe accaduto poche ore dopo, aggravata dal silenzio delle comunicazioni telefoniche bloccate da quasi quarantotto ore. Ai brevi festeggiamenti dei sostenitori del presidente rieletto la sera prima, ha risposto l'amarezza di volti ancora increduli. «Non è possibile! È matematicamente impossibile!» ripetevano alcuni. «Tutti i miei amici, gli amici degli amici, i miei familiari hanno votato per Moussavi. E ora?», facevano eco altri. «Dov'è il mio voto?», è la frase che ricorre anche sulla rete, attraverso network come Facebook che a differenza di altri siti, come quello della Bbc e o blog che pubblicano notizie su possibili brogli, ha funzionato per gran parte della giornata, prima di subire lo stesso blocco degli altri. Sulla community moltissimi giovani iraniani, nel Paese e all'estero, hanno postato video delle manifestazioni, degli scontri con la polizia e messaggi di protesta contro le elezioni, mettendo in dubbio con varie argomentazioni tutte le operazioni di voto. Una delle ipotesi che sta prendendo piede tra la gente comune è che i conteggi siano stati falsati dal ministero dell'Interno, che si sarebbe occupato direttamente dello spoglio delle schede. Ma si tratta di voci che rimbalzano senza tregua e difficilmente controllabili, in un momento in cui la delusione di molti rischia di trasformarsi in contro-propaganda. A confortare queste accuse è stato, comunque, lo stesso candidato sconfitto che, ieri mattina, nel corso di una conferenza stampa, ha lanciato un messaggio chiaro al popolo iraniano, infiammando gli animi già carichi di rabbia. Mir Hossein Moussavi, pare, dalle ultime frammentarie notizie, bloccato in casa e assediato dalla polizia o da milizie paramilitari, si è rivolto al popolo iraniano: «so che hanno tradito il vostro voto», ma «secondo ciò che mi impone il mio ruolo e la mia religione, io non cederò». L'ex primo ministro, prima, e la moglie Zahra Rahnavard, poi, nel corso di un'intervista telefonica alla Bbc Persian, hanno minacciato di svelare i meccanismi nascosti che hanno portato ai risultati elettorali. Nessuno dubbio sulla regolarità delle operazioni di voto, né sullo spoglio elettorale, invece, sia per il ministero dell'Interno, sia per la Guida Suprema Ali Khamanei che ha benedetto l'esito delle urne, proclamando Ahmadinejad «presidente di tutta la nazione» e invitando alla calma i sostenitori dei candidati sconfitti. «La partecipazione di più dell'ottanta per cento degli iraniani al voto e i 24 milioni di preferenze sono motivo di festa e simbolo della volontà di Dio. Tutto questo assicurerà il progresso e la sicurezza del Paese». Celebrazioni che però non si sono viste, sopraffatte dal suono dei clacson, da grida di protesta e dagli scontri nelle strade.