Libia, tocca alle piccole imprese
Non solo petrolio e gas. Zone franche per tlc, macchinari, agricoltura e pesca
LaLibia comincia a diventare una opportunità d'affari anche per quelle aziende italiane che per dimensioni e capacità non avevano mai guardato al mercato del Paese africano. Ora si può. La parola chiave è zone franche. Tripoli ha intenzione di istituirne quattro. Di sicuro si sa che una sarà destinata al turismo e probabilmente sarà nella zona di Leptis Magna e Sabrata. Le altre sono da decidere e per questo nell'aprile scorso il ministro dello Sviluppo Claudio Scajola ha firmato un accordo per i risvolti operativi e dieci giorni fa il comitato misto italo-libico ha cominciato a curarne gli aspetti. Si apre insomma un'altra fase nei rapporti commerciali tra i due Paesi. Che finora si erano ristretti soprattutto al campo petrolifero ed energetico. L'Eni è a Tripoli dal 1959, è il primo investitore internazionale e il principale operatore internazionale con il 13% circa della produzione annua di petrolio del Paese. Si tratta di un'attività destinata a crescere dopo gli accordi raggiunti per lo sfruttamento di gas e per la realizzazione di un gasdotto sottomarino lungo 600 chilometri che porterà dalle coste libiche alla Sicilia circa 8 miliardi di metri cubi di gas all'anno. L'investimento previsto per questo progetto è di circa 5,5 miliardi di dollari. Nella zona di Bengasi, spiega il viceministro al commercio estero Adolfo Urso, «è prevista la costruzione di una centrale elettrica di 1,400 MW tra Bengasi e Tripoli e la costruzione di 42 substazioni per la distribuzione principalmente tra Bengasi, Tripoli e Sabrata. Un programma che comprende inoltre la costruzione di reti di fornitura con la Tunisia». Ora si apre un nuovo capitolo. Perché la Libia ha avuto una redditualità altissima dalla vendita di petrolio che assieme al gas rappresenta il 72% del Pil, il 93% delle entrate pubbliche e il 95% delle esportazioni. Tripoli in questo modo ha potuto allocare circa 140 miliardi che utilizzerà in un piano quinquennale. Un'enorme flusso di denaro che solo nel 2007 ha consentito di stanziare, e in gran parte impegnare, fondi per un valore complessivo di circa 19 miliardi di dollari. Le nuove opportunità dovrebbero riguardare «prima di tutto le telecomunicazioni», spiega Urso. Che aggiunge: «Attualmente sono in corso iniziative per l'espansione della rete di telefonia mobile e il progetto di rifacimento della rete fissa. Ma le nostre imprese potrebbero fornire macchinari per l'agricoltura, per la pesca, dove è inesistente la catena del freddo, ed attrezzature per la lavorazione della plastica, dei metalli e del marmo. Ma buone possibilità arrivano anche nel campo navale dove l'Italia è già un tradizionale fornitore, mentre le migliori future opportunità per le nostre aziende riguardano il settore degli aeroporti». Il modello italiano, basato proprio su piccole e media imprese, potrebbe essere un ottimo volano di sviluppo così come avvenuto in tutti i Paesi che hanno superato la prima fase dell'industrializzazione. La Libia non aspetta altro.