L'economia disastrosa in cima alle priorità

(...)unoche depone la sua scheda in un'urna del Baluchistan e un terzo della zona desertica e depressa di Yazd, permette di capire che l'Iran è tanti mondi diversi proprio quando il risultato del voto iraniano è chiave non solo per gli iraniani ma per tutta la comunità internazionale. Il nuovo leader della Repubblica Islamica dovrà fare i conti con uno scenario in cui Israele è a un passo dal decidere un'azione unilaterale contro i siti nucleari iraniani, l'Europa è sempre più in difficoltà in una contesa che le è ampiamente sfuggita di mano e gli Stati Uniti si muovono su piani diversi. Il presidente Obama fa aperture di credito ai governanti di Teheran, mentre al Pentagono si mettono a punto, più o meno in gran segreto, piani d'azione per garantire la massima prontezza operativa nel caso di una crisi fuori controllo. Nonostante tutto questo, come ovvio, gli iraniani hanno votato pensando alle loro priorità tra le quali il primo posto è occupato da un situazione economica disastrosa per la quale il presidente uscente Ahmadinejad non è riuscito a fare nulla di buono. Le sue uniche mosse si sono limitate alla distribuzione di manciate di dollari alla gente più povera delle campagne. Ma lui, garante della conservazione, di una visione oscurantista della società, potrebbe essere rieletto proprio da quelle masse che si nutrono del suo populismo, venerano la sua ostentata integrità e la sua ottusa adesione ai principi della rivoluzione islamica, compresi gli attacchi contro Israele e gli Usa. Il suo elettorato però potrebbe essere attratto anche da Mohsen Rezai, ex capo delle guardie rivoluzionarie, i pasdaran, altro conservatore di ferro. La sfida è con i riformisti, il vecchio Karroubi ex capo del parlamento e Mir Hussein Moussavi. Mir Hussein potrebbe essere l'uomo chiave. Ha poco carisma ma una moglie in grado di trascinare le folle (cosa assai poco consueta in Iran), è riuscito a far sognare di nuovo i ragazzi di Teheran che parlano della loro rivoluzione verde e sognano una vittoria strepitosa, e ha dalla sua il fatto di essere un riformista con tutte le credenziali in ordine dal punto di vista della fedeltà rivoluzionaria: era uno dei collaboratori più stretti dell'ayatollah Komeini, mentre lui si prepara a un atteggiamento assai più aperto verso la società iraniana e più conciliante nei confronti della comunità internazionale. Fin qui lo scenario sarebbe abbastanza chiaro se non si trattasse dell'Iran, paese in cui (come in molti altri luoghi del resto) qualche volta conta più chi conta i voti di chi vota e dove i sondaggisti possono tranquillamente morire di fame data l'imprevedibilità dell'elettorato e il fatto che quasi nessuno dice apertamente quello che pensa. E poi chi può dire come ha manovrato nelle ultime ore dietro le quinte il vero capo dell paese, la guida spirituale, Ayatollah Khamenei? Chi conosce esattamente le mosse del vecchio Rafsanjani ex presidente, fatto fuori l'ultima volta proprio da Ahmadinejad cui ha giurato vendetta? Le code di ieri ai seggi possono voler dire tutto. Se è vero che alla fine si tratta di un referendum pro o contro Ahmadinejad, sarà interessante valutarne il risultato: che alla fine si tradurrà in una prospettiva di futuro completamente diversa per tutti gli iraniani, e non solo per loro.