Gheddafi imbarazza l'Italia
{{IMG_SX}}«Gli Stati Uniti hanno cercato di uccidere Gheddafi e i suoi figli. E allora che differenza c'è tra l'attacco americano ai libici nell'86 e Bin Laden?». La domanda che Muammar Gheddafi lascia cadere nella sala Zuccari di palazzo Giustiniani davanti a un centinaio di senatori di maggioranza e opposizione arriva alla fine di una serie di accuse al governo americano. E lascia un segno di imbarazzo su molti dei parlamentari che ieri mattina, per ascoltarlo, hanno aspettato pazientemente un ritardo di un'ora e un quarto del leader libico sull'orario ufficiale dell'incontro. Un imbarazzo al quale, nel pomeriggio, ha dato voce il ministro degli esteri Franco Frattini, pur cercando di restare nel clima di estrema distensione della visita in Italia: «Certo è un'affermazione forte, del resto non siamo certo d'accordo su tutto con Gheddafi». Il discorso del «Raìs» nella sala concessa al posto dell'aula del Senato è stato tutto giocato in un equilibrio delicatissimo tra accuse e elogi, tra provocazioni e dichiarazioni di amicizia con l'Italia. Citando Nabucodonosor e Giulio Cesare, l'impero romano e i fenici. Vestito con una tunica bianca, senza la divisa da colonnello e gli enormi occhiali da sole, Gheddafi, accompagnato dal presidente del Senato Renato Schifani, si presenta in sala a mezzogiorno e un quarto, sconvolgendo tutti gli orari del cerimoniale. I senatori si alzano e applaudono, anche se timidamente. E il colonnello ringrazia con un un accenno di inchino a mani giunte. In prima fila ci sono Dini, Andreotti, Cossiga. Gli «amici» come più volte li chiama Gheddafi, accomunandoli ad altri amici, D'Alema e Prodi. Il saluto di Schifani è incentrato sulle nuove relazioni tra i due Stati e sul problema dell'immigrazione: «Dobbiamo investire sul futuro comune — spiega — su uno sviluppo congiunto dei nostri continenti. Uno sviluppo equilibrato che porti pace e sicurezza, uso razionale delle risorse, governo delle dinamiche migratorie nell'obiettivo di un'armonica convivenza tra i popoli, nel pieno rispetto dei diritti umani riconosciuti dalla Comunità internazionale». E a sua volta il leader libico, in un discorso di un'ora, tocca tutti gli aspetti dell'agenda internazionale, dal terrorismo all'immigrazione, dal pericolo nucleare al nuovo accordo stretto con l'Italia «con l'amico Berlusconi». Gheddafi sul nostro passato colonialista torna più e più volte a far capire che quella pagina è stata chiusa ma i libici non dimenticano: «Nessun risarcimento potrà mai cancellare il dolore». Ma oggi Italia e Libia «possono contribuire alla pace nel mondo». Una pace minacciata però dal terrorismo e su questo tema il leader libico torna ad essere un feroce critico della politica americana: «Hanno ucciso Saddam Hussein ma in Iraq Al Qaeda non sarebbe mai entrata se fosse rimasto. Il risultato invece è che oggi l'Iraq è una porta aperta per Bin Laden». Così come per quanto riguarda l'Afghanistan «è poco intelligente seguire i terroristi sulle montagne. Dobbiamo invece capire le loro ragioni e convincerli che non c'è bisogno di questa guerra. Noi siamo contro tutti gli atti terroristici ma non è sufficiente, dobbiamo interrogarci sui motivi del terrorismo. E poi perché dobbiamo rispondere alle atrocità con altre atrocità? Ci sono Paesi che hanno missili intercontinentali e migliaia di bombe nucleari. Non è terrorismo anche questo?». Ma la critica è anche agli interventi negli altri Paesi. «Saddam Hussein era un dittatore? E voi che ne sapete? Siete forse i responsabili del popolo iracheno?». Arrivando a scomodare perfino il Vaticano: «Non possiamo essere tutti uguali: che male c'è se la Corea del nord vuole essere comunista? Se l'Afghanistan vuole essere uno stato islamico, o l'Iran è in mano agli ayatollah? Non è forse il Vaticano un rispettabile stato teocratico con rappresentanze in tutto il mondo?». Gheddafi si spinge ancora avanti fino ad un improbabile elogio della dittatura «quando ha un programma utile per la gente e fa il bene del suo popolo». Più facile essere d'accordo con lui quando parla di immigrazione e spiega che non può essere un problema solo di due Paesi: «La Libia è una terra di transito e l'Italia è la prima meta. Ma il problema riguarda l'Africa e l'Europa, riguarda tutto il mondo. Né gli italiani né i libici lo possono affrontare da soli». Ma anche su questo tema Gheddafi spinge sull'acceleratore della provocazione: «Lasciate che il governo italiano smetta di difendervi dall'immigrazione. Lasciate entrare milioni di persone, lasciamo alle organizzazioni per la difesa dei diritti dell'uomo la responsabilità di trovare loro un lavoro, cure mediche. E ci sarà bisogno di un dittatore per difendervi».