«A Roma abbiamo tenuto grazie a Massimo»
Sonouna costruzione giornalistica. E quindi Umberto Marroni, capogruppo del Pd in Campidoglio, non è un dalemiano. Anche se poi, parlandoci, è un po' difficile non notare un certa sintonia con il lìder Maximo. Soprattuto nell'analisi sul futuro dei Democratici. Com'è il Pd visto da Roma? «Beh, devo dire che, dentro la difficoltà che stiamo attraversando, il Pd a Roma è riuscito ad ottenere il 32%. Un calo minimo rispetto al nazionale. A Roma il Pd tiene di più». Perché? «Sicuramente per una certa delusione che c'è nei confronti del sindaco Alemanno. Ma anche per la campagna elettorale intensa che abbiamo condotto. Non a caso su 6 eurodeputati eletti nel Centro, esclusi Domenici e De Angelis che ha preso più voti al di fuori della città, quattro romani». Campagna intensa che ha visto i dalemiani protagonisti. «Più che i dalemiani direi che è D'Alema che si è impegnato direttamente. E poi, non posso negarlo, c'è stato un effetto Sassoli. Insomma, per avere i voti ci vogliono leadership riconosciute». A proposito di leadership, D'Alema sarà il prossimo segretario del Pd? «D'Alema è già politicamente in campo. Non credo che il problema sia la sua collocazione all'interno dell'organigramma». Sta dicendo che farà il «padrone» del Pd senza esserne il segretario? «Guardi, se c'è una cosa che queste elezioni hanno dimostrato è che, a differenza di altri, il Pd non ha un padrone unico». E infatti passate il tempo a litigare. Ha visto cosa sta succedendo sulla collocazione europea? «Io credo che la soluzione proposta da Franceschini sia quella giusta: tenere conto delle tradizioni innovandole. Non liberarsene». Rutelli, però, frena. «Il dibattito è aperto, ma credo che avrà esito positivo». Non sarà anche lei uno di quelli che pensa che nel Pd va tutto bene? «Assolutamente. Il partito vive una difficoltà e va rilanciato. Dobbiamo intenderci su cosa deve essere il Pd, che tipo di partito vogliamo. Questo deve essere il contenuto del congresso». E che partito deve essere? «Non leggero, ma radicato nella società. Capace di parlare a tutte le categorie produttive. Capace di selezionare la propria classe dirigente che, ovviamente, deve essere funzionale al progetto politico che vogliamo portare avanti». Un partito socialdemocratico che possa poi allearsi con un centro moderato? «Non mi convince il ritorno al passato. Noi dobbiamo unire le culture riformiste del Paese ed è possibile come dimostra il caso di Roma dove Gualtieri e Milana, pur provenendo da famiglie politiche diverse, hanno viaggiato in tandem e sono stati entrambi eletti». E questo Pd con chi si alleerà? «Sicuramente dobbiamo recuperare, programmaticamente, un voto a sinistra dove c'è un deficit di rappresentanza. Poi credo che dobbiamo aprirci all'Udc che non è rappresentato, penso a Roma, da questa destra». Di Pietro? «Dobbiamo chiarirci. Se vuole comportarsi da alleato bene, se vuole comportarsi da concorrente sleale no. Il nostro compito è far vincere il centrosinistra non mangiarsi voti a vicenda». Nic. Imb.