Gheddafi: "Inizia una nuova era"
Tre squilli di tromba. Una lunga guida rossa stesa nel cortile del Quirinale. Il generale Rolando Mosca Moschini che gli fa strada mentre i lancieri di Montebello scattano sull'attenti. Accolto con tutti gli onori riservati ai capi di Stato, il leader della rivoluzione libica Muammar Gheddafi fa il suo ingresso nel Palazzo sul Colle. Al petto, sulla divisa nera bordata di rosso e oro, ha appuntata una foto grande quanto una cartolina. È l'immagine della cattura del «leone del deserto» Omar al-Mukhtar, guida della resistenza anti-italiana arrestato l'11 settembre del '31 e fatto giustiziare su ordine del maresciallo Graziani. «Per noi è come la croce che portate voi», ha spiegato più tardi. Una provocazione muta ma eloquente, che però il leader libico stempera subito con parole di apprezzamento per «il coraggio» con cui «questa generazione di italiani» ha risolto le «questioni del passato». Non senza precisare che, se è venuto a trovarci, lo ha fatto grazie alla firma del Trattato di Amicizia siglato con Berlusconi a Bengasi lo scorso 30 agosto. Un «segnale che l'Italia condanna il colonialismo, si scusa per quello che è avvenuto, ed è questo - sottolinea - che mi ha permesso di poter venire qui oggi». La prima giornata della prima visita di Gheddafi nella Capitale dell'ex impero coloniale comincia a Ciampino. La delegazione della Gran Giamahiria viene ricevuta dal premier, che malgrado una brutta contrattura muscolare non ha rinunciato alla «trasferta aeroportuale», e dal ministro degli Esteri Frattini. Poi, attraverso la città blindata, scortato da alcune delle sue «pretoriane» in uniforme color sabbia e basco rosso e da un nostro imponente servizio di sicurezza, il Colonnello arriva - con mezz'ora di ritardo - nella sede della presidenza della Repubblica. All'ingresso del salone pieno di arazzi del «Bronzino» lo attende un plotone «di mezza gala» composto da 12 corazzieri che al suo passaggio fanno il presentat-arm con le sciabole sguainate. Una stretta di mano con Giorgio Napolitano immortalata da raffiche di flash con un effetto stroboscopico e le due delegazioni, quella libica e quella italiana, si chiudono per 47 minuti nel salone adiacente. Quando le porte si riaprono, Gheddafi (che si è tolto gli occhiali fumè a 24 pollici che indossava all'arrivo) si porta con il capo dello Stato al centro della sala, ornata con le bandiere italiana, europea, libica e dell'Unione africana. Napolitano parla di «una nuova fase di relazioni fra i due Paesi» che hanno gettato «le basi di un più intenso, molteplice partenariato». Gheddafi non sorvola sul passato, ribadendo che non esiste un «controvalore» per quello che «l'Italia coloniale ha commesso contro il popolo libico», pur riconoswcendo che i tempi sono cambiati. E che «l'Italia di oggi non è più l'Italia di ieri». Dopo un pranzo a base di pappardelle con cicoria e pomodori secchi, spigola farcita con pomodori e zucchine accompagnata da patate al forno, la guida della rivoluzione libica ha regalato a Napolitano una sella da cammello e ha ricevuto una stampa del '700 raffigurante la Fontana di Trevi. Finito l'incontro, Gheddafi è tornato nella sua tenda piantata nel verde di Villa Doria Pamphili, si è riposato, si è cambiato d'abito, scegliendo una comoda tunica e un basco neri, per ripartire alle 18,40 (in netto ritardo rispetto al previsto) diretto a Palazzo Chigi. C'è rimasto fino alle otto. A questo punto i due leader sono saliti sulla limousine bianca a bordo della quale il Colonnello aveva raggiunto il Quirinale per «approdare» con l'auto da crociera a Villa Madama, dove sono stati firmati dai ministri italiani e libici quattro protocolli «tecnici». Aprendo la conferenza stampa il presidente del Consiglio ha annunciato che il suo «grande amico» libico prenderà parte al G8 dell'Aquila, che sarà ampliata «la quantità di fornitura di energia dalla Libia», che «le imprese italiane saranno in prima fila nella realizzazione delle infrastrutture» nel Paese arabo e che si realizzerà «un'iniziativa congiunta nel Corno d'Africa». Berlusconi, inoltre, ha giudicato «molto positiva» la «collaborazione avviata con la Libia in tema di contrasto all'immigrazione clandestina» e, da quando è partita, «non si sono più verificati arrivi di immigrati clandestini». «Speriamo di continuare così», ha aggiunto il Cavaliere. Gheddafi non è stato da meno nei complimenti (il premier lo aveva definito «suo grande amico», aveva usato termini quali «caloroso benvenuto» e «storica visita»), ha parlato di «una nuova era con l'Italia del mio amico Berlusconi». E ha assicurato: «Dirò all'Assemblea generale dell'Onu che l'Italia merita un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza». Il nostro Paese, infatti, ha spiegato, «ha svolto un ruolo importante nella seconda guerra mondiale, ha fatto cadere il fascismo, è uscita dall'asse e ha combattuto con gli alleati contro il nazismo. Ed è quindi meritevole di avere un seggio permanente». La nuova stagione di rapporti, ha concluso il Colonnello, è stata possibile grazie a Berlusconi e al suo governo, che è riuscito dove altri governi italiani avevano fallito. Concluso lo scambio di cortesie, tutti di nuovo a tavola, davanti a un menù «tricolore». Chissà se il rivoluzionario anticolonialista ha apprezzato il riferimento alla bandiera degli ex occupatori.