"D'Alema segretario" E il Pd va nel panico
La sfida è lanciata. Per ora sono piccoli segnali, avvertimenti, ma è chiaro che il Pd è molto diverso dall'oasi felice che qualcuno continua a descrivere. Tutti sono ufficialmente impegnati per cercare di salvare la faccia ai ballottaggi del 21 giugno, ma sotto traccia si lavora in vista del congresso autunnale. Ieri anche Massimo D'Alema è uscito allo scoperto. Niente di ufficiale visto che l'ex ministro degli Esteri dirà la sua sul risultato elettorale solo a urne definitivamente chiuse, ma un lungo articolo-retroscena sulle pagine di Repubblica. E si sa che ormai il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari gioca un ruolo non secondario all'interno delle stanze di Via del Nazareno. Così se a Largo Fochetti scrivono, citando frasi del lìder Maximo, che lo stesso starebbe pensando di candidarsi alla segreteria per perseguire il progetto di un partito socialista che possa allearsi con un centro moderato che raccolga i fuoriusciti dal Pd. E se a scriverlo è la penna autorevole del vicedirettore Massimo Giannini, il dibattito è servito. «Se è vero quanto riferisce su Repubblica Massimo Giannini, si va organizzando nel Pd una posizione politica che ha come obiettivo "sfasciare il Pd per salvare il centrosinistra" - commenta il senatore democratico Giorgio Tonini che fu tra gli uomini di punta della segreteria Veltroni -. La strategia "Red and white" non è nuova, anche se il fatto che venga esplicitata aiuta a capire molto di ciò che è avvenuto nel Pd nei mesi scorsi». Soddisfatto, invece, l'Udc Savino Pezzotta: «Un Pd che si apre a sinistra e guarda in prospettiva a un'alleanza con il centro? Mi sembra una buona idea. Se davvero questa fosse l'intenzione di D'Alema si tratterebbe di un'analisi lucida». E mentre l'ulivista Antonio La Forgia ricorda a D'Alema che il segretario verrà votato con le primarie e quindi servirà «una competizione vera», Dario Franceschini glissa: «Non ho letto le dichiarazioni a "Repubblica". Ora sono concentrato sui ballottaggi e sull'impegno di tenere unito il partito. Ma giuro che terrò l'articolo da parte e, dopo i ballottaggi, lo leggerò». La ridda di dichiarazioni costringe il diretto interassato ad intevenire. «Scrivete pure - dice ai cronisti che lo assediano -: non ho parlato con Massimo Giannini, né ho rilasciato alcuna dichiarazione. Non sono miei valutazioni, ma di Giannini e sono peraltro fondate. Secondo voi si ouò forse dire che le elezioni sono andate bene? Un mese fa Giannini ha partecipato con me a un dibattito, ho visto che prendeva appunti. Ognuno esprime le sue opinioni, ma non sono le mie». Sarà, ma mentre D'Alema è impegnato con le frasi «attribuitegli» da Repubblica al Senato si consuma un altro strappo tra dalemiani e il resto del Pd. Motivo del contendere il discorso che il leader libico Gheddafi avrebbe dovuto tenere nell'Aula del Senato (alla fine è stato spostato in una sala di Palazzo Madama ndr). Dopo una travagliata assemblea il gruppo democratico fa sapere che non sarà presente nell'emiciclo. Peccato che, a votare a favore della presenza in Aula di Gheddafi, sia stato anche il vicecapogruppo del Pd, e dalemiano di ferro, Nicola Latorre. Qualcuno si spinge fino a chiederne le dimissioni, ma questo non è il momento di aprire uno scontro. Tra l'altro il rapporto tra il leader libico e D'Alema è sempre stato ottimo al punto che domani Gheddafi parteciperà ad un incontro organizzato alla Camera dalla fondazione Italianieuropei. Per il lìder Maximo la sua presenza in Aula a Palazzo Madama «non è scandalosa». «Non è una seduta del Senato - commenta -, ma un intervento in Aula. Chi vuole ci va, chi non vuole no». Che è un po' come dire o con me, o contro di me.