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Intercettazioni

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L'opposizionenon ha dubbi: questa decisione è frutto dell'accordo raggiunto tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi ad Arcore. Che potrebbe tradursi più o meno così: il Pdl rinuncia a sostenere il referendum elettorale tanto temuto dal Carroccio e la Lega, in cambio, sostiene i candidati del centrodestra ai ballottaggi e non si mette di traverso sulle intercettazioni. Forse, malignano nel centrosinistra (ma anche nel Pdl), è proprio da questa intesa che avrebbe origine anche la marcia indietro del ministro dell'Interno Roberto Maroni costretto a non modificare il testo, come aveva annunciato invece nei giorni scorsi. Prima delle europee, infatti, l'inquilino del Viminale aveva assicurato che avrebbe ritoccato il ddl per «recepire i suggerimenti», definiti «molto interessanti», del capo della procura Nazionale Antimafia Pietro Grasso che aveva parlato del rischio di pregiudicare, con questo testo, le indagini contro la criminalità organizzata. Dopo ben due riunioni di maggioranza alla presenza di Maroni e di altri tre ministri (Angelino Alfano, Elio Vito e Roberto Calderoli), si è deciso di lasciare il ddl così come era stato licenziato dalla commissione Giustizia della Camera il 19 febbraio. Aggiungendo solo alcuni emendamenti presentati il 20 maggio da governo e relatore nel Comitato dei nove della commissione. Dunque nessuna modifica, se non una «correzione formale al testo», spiega il deputato del Pdl e legale del premier Niccolò Ghedini, per dare la possibilità al Pm di chiedere in caso d'urgenza anche i tabulati oltre che le intercettazioni. Dei suggerimenti di Grasso neanche l'ombra, come si evince anche dalla battuta post-riunione di Ghedini ai cronisti: «Grasso chi? No, no, oggi solo magro...».

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