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I socialisti europei si processano In Italia il Pd processa il Cav

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Cinquepunti secchi persi. Almeno se si fa un raffronto con le elezioni europee del 2004. Se invece il paragone scatta con il risultato delle ultime politiche i punti persi sono ben sette. Un risultato che dovrebbe dare un po' di pensieri al Partito Democratico. Invitare Franceschini e i vertici del centrosinistra ad un po' di autocritica. A fare qualche riflessione. Invece niente. Nel Pd sono tutti concentrati a «giubilare» Berlusconi. Il quale di punti, in percentuale, ne ha persi due. A inneggiare a un risultato positivo perché «si è evitato un tracollo», come si affanna a dichiarare da un paio di giorni Franco Marini. A spiegare, come fa Franceschini, che il risultato delle europee è la conferma della bontà «del progetto del Pd». A congratularsi, come fa Piero Fassino, per il fatto che «il Pd è il primo partito nel campo progressista europeo». Eppure proprio guardando i cugini europei i Democratici avrebbero qualcosa da imparare, visto che tutti i segretari della sinistra sconfitti hanno fatto una pesante autocritica. Iniziando proprio dal leader del Pse, il danese Poul Nyrup Rasmussen. Il partito socialista europeo ha perso «solo» 3 punti ma il presidente ha ammesso che servono «nuove strategie e nuove idee per il futuro». «È evidente che la nostra famiglia socialista e democratica ha avuto un risultato deludente — ha aggiunto — Abbiamo bisogno di riflettere e farci avanti con una nuova strategia e nuove idee». In Germania, invece, i socialdemocratici hanno perso lo 0,7 per cento, scendendo dal 21,5 al 20,8. Un risultato che è il peggiore di sempre. E il loro candidato alle politiche di settembre, il vicecancelliere e ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier ha ammesso che il risultato è stato «deludente». «Hanno votato circa il 42 per cento degli aventi diritto — ha proseguito — alle politiche l'affluenza sarà il doppio e io, senza dubbio, commenterò risultati ben diversi». In Spagna, dove il Psoe ha perso cinque punti, passando dal 43,46% del 2004 all'attuale 38,49%, Jose Luis Zapatero ha invece preferito tacere. Così come ha fatto il suo collega portoghese Josè Socrates, passato da un 44,53% del 2004 a un desolante 26,6%. Eppure entrambi sono primi ministri nei loro Paesi e hanno pagato la crisi economica mondiale. Alla quale avrebbero potuto comunque «aggrapparsi» per spiegare la sconfitta. Invece, saggiamente, hanno preferito non costruirsi alibi. Così come non se li è costruiti il leader del partito socialista francese Martine Aubry. Il suo partito è uscito letteralmente «devastato» da queste ultime elezioni europee, passando dal 28,9% conquistato nel 2004 al 16,8. E l'autocritica è stata totale: «Non siamo ancora credibili, evidentemente il Partito socialista ha bisogno di una rifondazione». Per Aubry la batosta registrata dal Ps è da imputare alla sua «incapacità di rinnovarsi profondamente. Paghiamo oggi le divisioni di ieri, un partito chiuso in se stesso, colpevole di un non aprirsi sufficientemente alla società e alle altre forze di sinistra». «Mi assumo — ha concluso — la responsabilità collettiva, che è la nostra, quella del nostro partito e dei nostri dirigenti».

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