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Dario come Walter: nega la sconfitta

L'abbraccio tra Veltroni e Franceschini

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Anzitutto le differenze. Un anno fa, quando Walter Veltroni si presentò davanti ai giornalisti a sconfitta ormai acquisita, lo scenario era quello dell'ex mercato ebraico del pesce. A pochi passi dal loft. Con lui, sul palco, i big del Pd. Nessuno escluso. Un modo come un altro per assumersi, tutti insieme, la responsabilità della debacle. Da quell'aprile 2008 ne sono cambiate di cose. Il loft è stato abbandonato e il Pd ha trovato riparo nelle stanze dell'ex sede della Margherita in via del Nazareno. Dario Franceschini ha preso il posto di Veltroni e tocca a lui presentarsi in conferenza stampa per commentare i dati delle elezioni europee. Nella sala al terzo piano ci sono pochissimi big.  Qua e là si riconoscono David Sassoli, Silvia Costa, Marina Sereni, Walter Verini, Luigi Berlinguer. Il clima è diverso, quasi rilassato. Il segretario, cravatta rossa a pois e vestito grigio, si presenta sorridente «scortato» dai suoi fedelissimi (il braccio destro Antonello Giacomelli, il portavoce Piero Martino, Alberto Losacco e Francesco Garofani). Quasi un gesto di sfida visto che si tratta degli stessi che, nelle ultime settimane, sono stati attaccati per la gestione della campagna elettorale. Quando si siede davanti a microfoni e telecamere, però, Franceschini è solo. Ecco il nuovo corso del Pd. Peccato che, non appena inizia a parlare, i presenti pensano di assistere ad una replica. Il segretario recita, quasi usando le stesse parole, il triste copione che Veltroni usò per spiegare la cocente sconfitta delle Politiche. Allora l'ex sindaco di Roma parlò di «una grande rimonta politica che ci consente di portare in Parlamento e di insediare nel Paese la più grande forza riformista che l'Italia abbia avuto». Disse che quel 34% era un punto di partenza per «una nuova stagione di espansione elettorale». Sottolineò il «massiccio spostamento di voti» verso la Lega. E gettò la responsabilità della sconfitta sulle spalle del governo Prodi, facendo comunque notare che, all'interno dell'Unione, le «uniche forze a crescere» erano Pd e Idv. Franceschini non è da meno. Non pronuncia mai la parola sconfitta. «Il voto delle europee - spiega - permette al Pd di raggiungere i due obiettivi prefissati: confermare il progetto del partito e fermare la destra italiana». Quel 26.1% è sicuramente inferiore al dato del 2008, ma la situazione di partenza era disastrosa e quindi, per il segretario, è comunque un risultato che consente al Pd di essere «il primo partito in voti assoluti nel campo progressista europeo e forse è anche il primo per numero di parlamentari eletti». Non solo, ma rappresenta «la conferma del progetto e la base di partenza per un partito che nel suo primo anno e sei mesi di vita ha dovuto affrontare due elezioni». E comunque il vero dato politico di queste elezioni è quello della Lega, la cui crescita «comporterà un condizionamento del Carroccio sulle scelte del governo e, temo, un impatto negativo». Un pensiero va ovviamente anche al governo. Per Veltroni difficilmente quell'alleanza uscita vincente dalle urne sarebbe riuscita a governare il Paese. Per Franceschini l'esecutivo è «minoranza nel Paese» mentre è svanito «il mito dell'invincibilità di Berlusconi». Insomma la fine si avvicina. Certo, per onor di cronaca, va ricordato che gran parte dei problemi che hanno logorato la leadership del povero Walter nacquero proprio dall'aver sottovalutato quella sconfitta. Ma la storia non si ripete mai uguale a se stessa. O forse sì.

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