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Da Obama per creare nuove regole

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Come confermato nelle scorse ore dal Dipartimento di Stato, Berlusconi si reca alla Casa Bianca allo scopo di diventare, con Obama, il «grande mediatore» su quello che dovrebbe essere il punto centrale del G8 de L'Aquila: il varo di nuove regole internazionali, anzi globali (i «global standards» nel lessico del Ministro e dell'Economia Giulio Tremonti), atte ad evitare che il mondo cada in una crisi finanziaria analoga all'attuale e, nel contempo, fornire un quadro di certezze che faciliti uscire da quella in corso. I «global standards» sono il punto centrale della strategia italiana. Non è stato facile convincere altri Stati europei (nonostante avessimo la Francia come alleato); la svolta si è verificata a fine aprile ad un seminario a porte chiuse dell'Aspen Institute all'Adlon Hotel di Berlino, quando abbiamo, per così dire, tirato alla parte dei «global standards» (i cui contenuti sono, per il momento, avvolti da doveroso riserbo) la Repubblica Federale Tedesca. E' stato messo in conto che l'idea di "global standard" non piace all'Asia (protagonista, non comprimaria, del G20 in calendario in settembre a Pittsburg). Non era dato per scontato, però, che molti Stati dell'Asean rendessero nota la loro opposizione tramite canali diplomatici (e non solo). Nell'ipotesi di coloro che preparano il G8, la nuova Amministrazione americana avrebbe guardato con favore ai "global standard" se non altro perché la proposta italiana, ed ora europea, avrebbe tirato più di un castagna dal fuoco a Obama. Non è, però, così non solamente a ragione della crescente attenzione di Washington nei confronti dell'Asia ma anche perché l'intellighentsia finanziaria e giuridica Usa lavora ad una proposta alternativa: direttive settoriali di corporate governance per tipologie di imprese e banche. Ne accenna Luigi Zingales, dell'Università di Chicago, in un saggio appena uscito su Journal of Accounting Research. Più espliciti due giuristi, Luciana Bebchuk e Assaf Hamdami, in un lavoro in uscita sulla "University of Pennsylvania Law Review": Si possono citare altri esempi: la strada verso i "global standard" assomiglia al percorso decennale (e mai completato) verso procedure contabili uniformi sulle due sponde dell'Atlantico. Un compito, quindi, difficile quello di imbarcare il Governo Usa sulla navicella dei "global standard": Reso ancora più arduo dal fatto che , dati Onu ed Ocse alla mano, Obama chiederà all'Ue , ed all'Italia, di fare di più per stimolare, con disavanzi di bilancio, la ripresa mondiale. Nonostante ciò possa mettere a repentaglio l'unione monetaria europea (Ume). Ma, per la Casa Bianca, l'Ume non è tema da dare notti insonni alla Washington-che-può. Berlusconi ha due punti forti per una conclusione positiva. Uno è principalmente, ove non intera mente, europeo. L'altro è prevalentemente, ove non esclusivamente, americano. Ambedue sono attivamente graditi all'Asia. Il punto "europeo" è illustrato nel lavoro del Centre for European Policy Studies (Ceps) di Bruxelles, essenzialmente redatto dall'italiana Assonime e intitolato "Keep it Simple" - ossia mantenere semplice la risposta regolatoria alla crisi finanziaria, una posizione molto più flessibile (e anche molto più trasparente) di quella formulata inizialmente da Bercy, su impulso dell'Eliseo (in parole povere, dalla Francia). Il punto "americano" è che la cicala ha ripreso a lavorare - dopo decenni di risparmi negativi (ossia indebitamento sempre più acuto) delle famiglie Usa, in aprile il tasso di risparmio (privato) americano ha toccato il 5,7% del reddito disponibile. I dati preliminari di maggio mostrano una tendenza in ascesa. Ciò vuol dire che si allontana il grande tracollo temuto dagli asiatici (per lustri capofila nel finanziare il debito Usa). L'ambiente è, dunque, complessivamente più sereno.

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