Berlusconi in ritardo, poi gli applausi
Una sedia vuota. Quindici minuti di ritardo. E le illazioni sull'assenza del presidente del Consiglio alla parata del 2 giugno si intrecciano con le motivazioni ufficiali. C'è già chi parla di sgarbo istituzionale, di paura del confronto con la gente. Tutte chiacchiere. Il premier arriva discreto, passando dal retro della tribuna, si scusa con il capo dello Stato che bonariamente ricambia. «Deve riguardarsi», il movimento delle labbra di Napolitano è evidente. Il Cavaliere si è appena giustificato spiegando di un terribile mal di collo. Spiegazione fornita più tardi anche dal ministro della Difesa La Russa. I pregiudizi di chi voleva ancora una volta trovare del marcio nel ritardo, si dissolvono. Il capo del governo aveva infatti presenziato alla cerimonia all'Altare della Patria alle nove e già aveva palesato la sue intezioni a una signora che gli aveva urlato dalle transenne «Non mollare Silvio!». «Non ci penso proprio - aveva risposto il presidente del Consiglio, a Piazza Venezia - sono solo agli inizi». Poi era corso a Palazzo Grazioli per la terapia contro il mal di collo. Quei quindici minuti di ritardo tengono però tutti sulle spine. I reparti sfilano, le autorità applaudono e quella sedia vuota fa impressione. Poi ecco apparire il premier e anche la tribuna si anima. Subito Gianni Letta si avvicina a Berlusconi sussurrandogli qualcosa. Quindi il saluto con il presidente della Repubblica. Ma assistere alla parata è stato un sforzo palese. Berlusconi prova a domare il dolore evidente alla cervicale chiudendo gli occhi e cerca una posizione comoda sedendosi. Batte le mani, si entusiasma all'incedere dei mezzi più moderni in dotazione ai vari corpi. Accenna un saluto militare con la mano alla fronte. Si lascia andare a qualche battuta con Schifani e La Russa che gli sono accanto. Ma poi la cerimonia è lunga e viene colto da un po' di stanchezza. Quando, dopo 80 minuti, la Pattuglia acrobatica disegna il tricolore sul cielo di Roma e il capo dello Stato lascia via dei Fori Imperiali, il Cavaliere viene circondato. Ministri, sottosegretari e semplici parlamentari. Il sindaco Alemanno. Tutti gli si fanno intorno. Alla fine Berlusconi e Gianni Letta decidono di andar via dall'uscita posteriore. Ma la mossa per tenere lontana la gente non riesce e il premier viene assediato da una folla in delirio. La scorta suda a tenere le distanze. Letta rischia di essere travolto. Mani che si tendono. «Silvio non mollare», «Silvio sei grande». «Silvio. Silvio». Le grida, le spinte che mettono in subbuglio quei marcantoni della scorta ridanno vitalità al premier. Il dolore al collo sembra guarito d'incanto. Appena una piccola smorfia sul viso all'ennesimo strattone della gente che vuole abbracciarlo. Ecco il sondaggio inappellabile: la folla lo osanna e fa piazza pulita del trash. Il servizio di sicurezza lo convince a uscire da quell'imbuto e ad andare alla macchina. Accetta, ma non proprio di buon grado. Prima di entrare in auto sale sul predellino e la folla esplode in un'ovazione. Duecento metri a passo d'uomo con centinaia di persone che si gettano sull'auto. Il pullmino nero della scorta tampona appena la blindata del premier per una frenata brusca fatta per prendere a bordo Letta rimasto nel frattempo a piedi. Tra due ali di folla ecco il corteo di auto arrivare a Palazzo Grazioli. Ancora delirio. In centinaia sono sull'auto, cercano di toccarlo e Silvio non si sottrae. Si fa immortalare con i suoi fan. Sale ancora sul predellino e a mani giunte ringrazia. Dal dolore alla rinascita.