Questo è ciò che raccolgo tra i miei associati (60.000 pmi e un milione e mezzo di occupati) girando l'Italia in queste settimane per le assemblee territoriali della Confapi.
Gliimprenditori hanno apprezzato la rivoluzione della pubblica amministrazione voluta dal ministro Brunetta, il rinnovo del modello contrattuale siglato con il ministro Sacconi, la riforma degli istituti tecnici avviata dal ministro Gelmini. Ma ora, al di là della giusta propensione del governo a sostenere una posizione di ottimismo rivolta al futuro, si interrogano su ciò che resterà del tessuto produttivo alla fine di quest'anno. Non sulle ambizioni artistiche di Noemi Letizia. Infatti, se le condizioni di governance politica della crisi non vanno oltre l'erogazione degli ammortizzatori sociali, se le banche continuano a non immettere nel «corpo» industriale le necessarie riserve di liquidità a costi accettabili, se pubblica amministrazione e grandi imprese perseverano nel ritardare i pagamenti dovuti ai piccoli fornitori, il vero rischio, per quanto ci riguarda, è che ci ritroveremo a dicembre con almeno 6mila piccole e medie imprese manifatturiere fallite e circa 150/200mila lavoratori disoccupati in più in settori strategici come l'industria fusoria, la metalmeccanica, la produzione di macchine utensili, la chimica fine o l'impiantistica. Senza contare l'indotto generato dalle aziende di queste comparti. Oltre alle conseguenze che tale fenomeno potrebbe avere sulla tenuta sociale, il pericolo maggiore è la perdita dell'immenso ed esclusivo patrimonio di competenza tecnica e innovazione tecnologica che costituiscono l'arma vincente di quelle migliaia di pmi che riescono a esportare anche in tempi di recessione. Allora, per mantenere o addirittura potenziare questa base di ricchezza creativa, tecnica e culturale di cui l'Italia dispone più di qualunque altro Paese industrializzato, serve una svolta sul fronte delle misure anti-crisi. Da qui la nostra proposta a governo e sindacati di una «cassa integrazione attiva», nella quale far confluire le risorse per gli ammortizzatori sociali, i fondi ministeriali per l'innovazione e la ricerca e le disponibilità degli enti bilaterali per la formazione, in modo che i lavoratori in cassa integrazione possano restare in azienda a qualificarsi e specializzarsi in vista della ripresa. IInoltre, il governo dovrebbe attuare nell'immediato misure per consentire alle imprese di non prosciugare la liquidità: dall'eliminazione degli anticipi Iva alla proroga dell'acconto fiscale sul 2008. Sul medio e lungo termine, invece, servirebbe una vera politica economica di rilancio del manifatturiero, magari prendendo a modello le scelte di Obama e Sarkozy: incentivazioni e agevolazioni fiscali soltanto alle imprese che sottoscrivono un patto per non licenziare e non delocalizzare. E' soltanto su queste scelte che i piccoli e medi imprenditori italiani giudicheranno l'operato del presidente Berlusconi. Paolo Galassi Presidente Confapi