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Ecco il costo dell'addio

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Dueaspetti i cui effetti si sommano l'uno sull'altro. In primo luogo, secondo coloro che hanno avuto modo di studiarne il testo, il piano presentato dall'Amministratore Delegato, Sergio Marchionne, si basa sull'ipotesi che nel mercato globale, una volta che i giganti indiani e cinesi prenderanno il volo, potranno «sopravvivere» solamente le case automobilistiche con un fatturato annuo di 80 miliardi di euro ed una produzione annua di 6 milioni di auto. La Fiat ha un fatturato di poco più di un milione di euro ed una produzione di 2,5 milioni di auto. Con quel-che-resta-della-Chrysler, fatturato e produzione potrebbero crescere di un terzo- ben al di sotto dell'«obiettivo di sopravvivenza». In secondo luogo, in casa propria, nel mercato dell'Ue e dell'Europa dell'Est, la Fiat avrà a che fare con un concorrente agguerrito che già oggi produce 1,7 milioni di auto, ha ampia liquidità ed un accesso preferenziale ad oriente tramite la Sberbank, la maggiore cassa di risparmio russa. In terzo luogo, la Fiat perde il vantaggio dell'integrazione tecnologica con Chrysler e Opel (ambedue rivolte alle medie cilindrate). Al contrario, ha il danno che la tecnologia Opel rafforza chi sino ad ora si è dedicato principalmente alla produzione di componenti di grandi cilindrate. Ciò rende ancora più difficile penetrare nel mercato nord-americano: Magna International ha la propria sede in Canada (pur se radici anche in Austria e Russia) e dal 1962 esiste un accordo Usa-Canada in materia di commercio d'auto . Non è certo facile operare in un mercato europeo in rapida riconversione: un saggio recente di Pier Carlo Padoan (Vice Segretario Generale dell'Ocse) e Paolo Guerrieri (Università La Sapienza e Collège d'Europe a Bruges) dimostra come l'Europa stia passando da una crescita trainata dall'export di manufatti ad uno sviluppo promosso dalla domanda interna per i servizi alla persona e l'ambiente. In tale contesto, il mercato Ue dell'auto pare destinato a diventare sempre più selettivo. In quarto luogo, la Fiat – dicono i tedeschi- ha perso l'Opec ha ragione della propria situazione finanziaria: non ha potuto offrire liquidità a ragione di un indebitamento netto stimato dalla Sanford C. Bernstein in 6,6 miliardi di euro – un fardello pesante dato che molti prevedono un aumento dei tassi d'interesse. A fronte di questi costi (ed agli interrogativi che sollevano banche e finanziarie), occorre che, al più presto, Sergio Marchionne chiarisca quale è la strategia alternativa (in gergo «il piano B») nei suoi obiettivi, contenuti e modalità d'attuazione. Se le premesse del «piano A» erano corrette, è in gioco la «sopravvivenza stessa» della maggiore industria del manifatturiero italiano. Giuseppe Pennisi

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