Rotondi: il "ciclone Noemi" frutto di una congiura la cui regia opera nell'ombra
Gentile Direttore, torno sul «caso Noemi» per confermare ciò che nel Palazzo molti pensano. Non mi ha mai entusiasmato il genere giallista, anche se ho sempre apprezzato, ad esempio, la penna di George Simenon. Non amo, dunque, i gialli tantomeno quelli di spie, servizi segreti e cose del genere. Fatta questa premessa, come cittadino e non come ministro, mi ribello a liquidare il cosiddetto «ciclone Noemi» come un episodio a metà tra i gossip, il giornalismo d'assalto e una sinistra a corto di argomenti. Formulo il legittimo sospetto che vi sia stato un gruppo di intelligenza — preciso che non mi riferisco ai Servizi — che si è dato l'obiettivo di indirizzare al premier un'accusa infamante e di fare in modo che a formularla fosse la moglie. Certamente il fine era far cadere il governo. Il gruppo di intelligenza non ha sparato per ferire Berlusconi, come ho detto nei giorni scorsi, ma per ucciderlo. Per carpire un movimento così innocente ma riservato, e causare tutto questo, sono autorizzato a sospettare che il premier sia seguito da mesi. E che alla prima occasione in cui la verosimiglianza poteva far accadere l'incidente questo è avvenuto. Noto una circostanza che nessuno ha evidenziato. Come mai una giornalista di un quotidiano nazionale, «Repubblica», si trova a una festa privata alla quale partecipa il premier? Da una parte quel giornale dice che la sua partecipazione era segreta e d'altra parte aveva l'inviato dedicato. È un primo punto di domanda. Secondo: la reazione della signora Berlusconi, verso cui tutti noi abbiamo il massimo rispetto, è avvenuta alle ore 22:08 del giorno in cui «Repubblica» ha pubblicato l'articolo. In quelle dodici ore evidentemente è avvenuto qualcosa d'altro, perché non c'è stata una reazione alla lettura dell'articolo ma una reazione, senz'altro di getto, ma non con riferimento all'articolo. E, allora, formulo il legittimo sospetto che vi sia stato un gruppo di intelligenza che si è dato l'obiettivo di indirizzare al premier un'accusa infamante e di fare in modo che a formularla fosse la moglie. Con il doppio obiettivo: renderla attendibile e dargli il massimo della pubblicità. Certamente il fine era far cadere il governo. Il gruppo di intelligenza non ha sparato per ferire Berlusconi, ma per ucciderlo. Chi è pronto a giurare che nessuno in questa storia ha rapporti con organizzazioni internazionali? È evidente che la festa napoletana era un episodio così trasparente che Berlusconi ci è andato con questore e nomenclature varie. Anche se il teatro è Napoli, non prendo però questo fatto in maniera leggera, per così dire a taralucci e vino. La accosto a tre casi: Montesi-Piccioni, Cossiga-Donat-Cattin e Leone-Cederna. In tutti e tre le vicende si è saputo che i giornali e i giornalisti erano solo strumenti incolpevoli e inconsapevoli; non sto attaccando «Repubblica», la sto difendendo. La regia di questa operazione è nell'ombra e non riguarda né «Repubblica», né la sinistra italiana. Questa è una congiura, come molte ci sono state nella storia della Dc. Di fronte a un premier che viaggia verso il record storico di durata, di popolarità e di risultati di governo vi è stato un gruppo di intelligenza che ha voluto colpirlo al cuore e quel po' che resta della gloriosa tradizione democratica del Partito Comunista farebbe benissimo a fare una riflessione più seria su quanto è avvenuto. Trasformare una roba del genere in uno scandalo è un'impresa che richiede uomini e mezzi. Molti. Con lo scopo di un attacco volto a far rimbalzare in tutto il mondo il linciaggio del premier. A questo punto mi chiedo: la democrazia rappresentativa di cui Berlusconi è espressione, è al sicuro?