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Non c'è tempo da perdere

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Giunto a Palazzo Chigi per la terza volta ha iniziato a governare inaugurando uno stile nuovo, con i fatti prima delle parole. Ha così brillantemente gestito due catastrofi nazionali, come quella dell'immondizia in Campania e del terremoto in Abruzzo, mostrandosi capace di una sintonia con la gente di impressionante solidità, alla faccia dei soliti parrucconi radical-chic che lo criticano da quindici anni senza mai averne azzeccata una. In autunno si abbatte sul mondo la più pesante crisi economica dell'epoca moderna, assai maggiore di quella del 1929 che fu, occorre ricordarlo, essenzialmente interna agli Stati Uniti d'America. Tutte le cancellerie del globo entrano in pesantissima fibrillazione. A Washington un presidente repubblicano (Bush) cede il passo ad un democratico (Obama), a Londra il premier Gordon Brown precipita nei sondaggi a livelli imbarazzanti. In Italia succede esattamente il contrario: la crisi finisce per coincidere con una impennata di consensi per il governo e soprattutto per Berlusconi medesimo, che diventa il padrone assoluto della scena politica. I suoi avversari vengono sbaragliati. Prodi costretto a una sorta di «pensionamento» forzato; Veltroni obbligato a dimettersi dopo l'ennesima sconfitta in elezioni locali, pur avendo provato a proporsi come l'alfiere del nuovo, del progresso e della felicità nel lanciare il Partito Democratico; Rutelli e D'Alema confinati in ruoli accessori, non più spendibili come leader unitari; Bertinotti addirittura fuori dal Parlamento. Sale così al vertice del Pd Dario Franceschini, che sta cercando di condurre in porto una battaglia quasi disperata, cioé quella di perdere il meno possibile alle elezioni europee. Si, perdere. Perché Franceschini considera un successo arrivare qualche punto sotto il 33% di Veltroni, che pure è stata sconfitta bruciante. Torniamo alla crisi però. Il governo italiano la affronta in modo più che dignitoso. Abbiamo un grande debito pubblico e Tremonti non può certo fare il fenomeno con la casse dello Stato. Arrivano, tuttavia, misure a sostegno delle banche, dei lavoratori e dei consumatori meno abbienti. Insomma si fa quel che si può, pur in presenza di oppositori cocciuti e irriducibili come la Cgil. Nel frattempo nasce la sfida della nuova Alitalia (il cui successo è nell'interesse nazionale) e la Fiat si avvia a giocare un ruolo da protagonista nel mercato mondiale dell'auto, fondendosi con Chrysler e assorbendo (forse) la Opel. Insomma un bilancio più che positivo, cui potremmo aggiungere, ad esempio, le battaglie per merito ed efficienza nella pubblica amministrazione del ministro Brunetta. Al governo restano quattro anni davanti, che dovranno essere quelli della Grande Riforma. La Repubblica Italiana è nobile ma vecchia nella sua struttura costituzionale. È lenta in un mondo che va in fretta. È squilibrata sull'asse Nord-Sud, sull'asse uomini-donne, sull'asse vecchi-giovani. È dotata di leggi ridondanti e contradditorie, figlie della peggiore cultura da «Azzeccagarbugli» che troppo spesso ha finito per trionfare nelle aule parlamentari. C'è quindi la necessità di mettere mano ai mali strutturali del nostro Paese, cui una maggioranza composta da due soli partiti può provvedere con ragionevole possibilità di farcela. Gli italiani di domani vanno garantiti adesso, ponendo un freno all'insensato «buonismo» di sinistra che ha distrutto le nostre università, accettato una quantità di immigrati che non ci possiamo permettere, concesso un sviluppo della giustizia penale e civile che consiglia a chiunque arrivi in un tribunale di essere colpevole, poiché se ci arrivi da innocente sei morto davvero. Un «buonismo» vergognoso e parassitario, che ci impone tasse vertiginose che non tutti pagano, leggi severissime che pochi rispettano, intere regioni (Campania e Calabria in testa) che danzano sul confine tra Stato e anti-Stato. Per mettere mano a questi interventi «pesanti» ci vuole coraggio e fantasia, sostegno dell'opinione pubblica e solidità parlamentare. Caratteristiche non lontane da quelle dell'attuale maggioranza e del suo leader. Qualcuno vorrebbe farci credere che conta di più Noemi e l'opinione del suo ex fidanzato. Si vergognino.

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