Quel tono ricattatorio dei Radicali
È divenuto insopportabile, ad esempio, quel loro modo drammatizzante, serioso, grave di affrontare qualunque problema. Ad ascoltare i loro discorsi, sembra di essere sempre ad un passo dalla fine del mondo. Mancano ormai di ogni spontaneità: nei gesti, nelle parole, negli sguardi fissi sempre alla telecamera. Un tempo erano freschi e originali, oggi appaiono attori consumati dalle troppe recite. Le loro battaglie, ancora oggi, sono sempre generose e spesso nobili, ma il tono che usano è sempre aggressivo, minaccioso, persino ricattatorio. E poi sono tutti eguali, l’uno la copia carbone all’altro, usciti sembrerebbe da un unico stampo: di sicuro passionali e pieni d’inventiva, ma anche fumosi, ripetitivi, narcisisti, sempre lì a lamentarsi, a protestare, a denunciare soprusi e censure, a prendersela con tutto e tutti. Una minoranza attiva, certo, fatta di gente onesta e competente, idealista e volitiva, questo non si discute, ma anche una minoranza rumorosa e petulante, saccente e sempre su di giri, convinta di rappresentare il sale della terra, di essere l’unica voce dissonante nel mare del conformismo italico e universale. E poi quel Pannella, da quarant’anni l’unico e autentico padre-padrone della politica italiana, inamovibile come una roccia, loquace come un fiume in piena, politicamente duro e risoluto, persino umanamente ingeneroso, come non ti aspetteresti da un campione di libertà e di tolleranza. Un partitocrate senza potere, categoria della politica che in effetti non appartiene alla storia radicale, ma capace sempre e comunque di conquistare la scena, tenendola poi occupata con il suo corpo massiccio, la sua voce vibrante e le sue parole che eternamente si ripetono. Tutto ciò detto, una volta confessata la propria stanchezza per questa pattuglia di lottatori tanto graffianti quanto esagitati, audaci un tempo ma ormai sempre più prevedibili, bisogna anche riconoscere che senza i radicali e senza Pannella, senza i loro digiuni e le loro sceneggiate televisive, senza i loro referendum e le loro campagne di mobilitazione, senza la loro generosa militanza, la politica italiana degli ultimi decenni sarebbe stata assai più povera. E anche meno divertente. Non c’è bisogno di condividere le loro idee, una, poche o molte, per ammettere che tutti, nell’Italia d’oggi, dobbiamo qualcosa ai radicali. E qualcosa di fondamentale: la coscienza dei nostri diritti di libertà, spesso usurpati nel passato da classi politiche sorde e autoreferenziali. I radicali sono stati - come ha detto l’altro giorno Giorgio Napolitano, sobriamente ma andando al sodo - «un contributo alla vita civile e democratica del Paese». Un contributo che non merita di essere disperso. Con pochi voti e senza mai avere incarichi diretti di governo, i radicali hanno saputo contare moltissimo, orientando l’opinione e talvolta le scelte politiche su molti temi fondamentali. Hanno dimostrato che in politica non contano solo gli interessi e le camarille, ma anche le idee e i princìpi. Certo, spesso hanno gridato gratuitamente "al lupo", hanno condotto molte battaglie in modo maniacale e ossessivo, arrivando ad essere controproducenti per la loro stessa causa, ma su molte cose hanno anche avuto ragione da vendere. Ad esempio, in materia di libertà d’informazione, bene sempre scarso e a rischio in questo paese. Dunque, lunga vita ai radicali, anche se il loro futuro a questo punto dipende più da se stessi che dagli altri. Sin qui sono stati una setta religiosa guidata da un guru carismastico e intransigente. Non gli si chiede di diventare un partito come gli altri, sarebbe la loro morte, ma almeno di farsi più sobri senza perdere in risolutezza, di smetterla con l’autocommiserazione furba, di cambiare almeno un poco stile e copione, di non cercare più sempre e comunque il colpo di teatro. Soprattutto gli si chiede di emanciparsi dall’ombra del loro mentore e fondatore: un lottatore formidabile, come si è visto ancora in questi giorni, ma anche una maschera politica che ha ormai stancato; e di radicare un nuovo gruppo dirigente o un nuovo leader invece di divorarlo subito dopo averlo creato, secondo un rituale di cannibalismo politico che equivale alla morte certa di qualunque organismo politico. I radicali dopo e senza Pannella: tutta qui la loro sfida futura.