Fini-Schifani, scambio di sgarbi
{{IMG_SX}}Mai così tanta freddezza. Mai così tanto gelo. Tra il presidente della Camera e quello del Senato si sta toccando il livello più basso nei rapporti. Al punto che Fini ieri si è ritrovato a fare il presidente di Palazzo Madama. Nel senso che è andato a casa di Schifani e Schifani non c'era, e non c'era neanche alcun altro vertice di Palazzo Madama ad accoglierlo. Al Senato sembrano invece sbigottiti per il fatto che il principale inquilino di Montecitorio si sia presentato alla manifestazione ben sapendo che Schifani non ci sarebbe stato. I cerimoniali sono andati in cortocircuito. Quel che è sicuro è che i rapporti tra i due presidenti non sono dei migliori. L'ultimo episodio è solo una spia. Succede che al Senato sono stati convocati circa trecento ragazzi accompagnati dai loro professori. L'occasione è un'iniziativa sulla Costituzione. Schifani non c'è perché impegnato all'inaugurazione del «Villaggio della legalità» a Palermo (dove tra l'altro ha detto cose pesanti sulla legislazione antimafia). Della sua assenza, fanno sapere dal Senato, Fini era stato informato da tempo ma è andato lo stesso a Palazzo Madama sebbene il padrone di casa non ci fosse. E questo si considera uno sgarbo istituzionale. A cui si aggiunge un contro-sgarbo: ad accogliere il presidente della Camera al Senato non c'è neanche un vicepresidente. Ufficiosamente perché tutti impegnati in campagna elettorale. Non si fa vedere nemmeno un componente dell'ufficio di presidenza. Semplici dispetti? Difficile crederci perché il piccolo caso arriva dopo un'altra giornata, quella di giovedì, di colpi di fioretto tra i due. Fini aveva chiesto ad inizio settimana che i politici non seguissero i precetti religiosi nell'atto di legiferare. Concetto che Schifani, fervente cattolico, non ha molto digerito. Al punto che due giorni fa ha detto chiaro: «Soprattutto sui temi della bioetica, rifiutare pregiudizialmente il contributo che proviene da alcune realtà che vivono nella nostra comunità nazionale, significa sabotare il dialogo per scopi estranei alla costruzione di un tessuto condiviso di moralità civile». E ieri, a chi gli faceva notare la differenza di vedute, la seconda carica dello Stato ha usato lo stesso argomento sfoderato da Fini di fronte ad analoga critica: «Non esiste un pensiero unico nel nostro Paese. Possono esserci delle differenze di vedute su alcuni temi. Non ci trovo nulla di strano». E se Berlusconi aveva detto che il Parlamento è inutile e Fini gli aveva risposto che invece è utile eccome, Schifani c'ha messo del suo: «Occorre migliorare la funzionalità del Parlamento. Mille parlamentari sono troppi e un sistema bicamerale a doppia lettura è inadeguato e superato dai tempi». Inadeguato, insomma, che certamente è più vicino all'«inutile» berlusconiano. Non si tratta di piccoli episodio ma di una serie che arriva al suo culmine. Un passaggio non secondario avvenne la sera del 9 febbraio, la sera della morte di Eluana quando Maurizio Gasparri, capogruppo dei senatori Pdl, fece notare come sulla vicenda avrebbero pesato «le firme messe e quelle non messe», riferendosi al Quirinale. Fini non la digerì e, fatto inusuale, bacchettò il senatore ex di An pur essendo presidente di Montecitorio e, dunque, competendogli semmai i comportamenti dei deputati. Schifani probabilmente si sentì scavalcato. Quasi due mesi dopo altro mini-incidente, questa volta al congresso del Pdl. Il 28 marzo l'ex leader di An parla a mezzogiorno e l'ex capogruppo di Forza Italia sta ad ascoltarlo in prima fila. Quando alle cinque del pomeriggio tocca a Schifani, Fini è comodamente a casa. Stavolta, quando il presidente della Camera s'è presentato nella sua casa istituzionale, Schifani era a Palermo, sua terra d'origine. Casa sua.