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La sala si scalda sul portafoglio

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seguedalla prima E così, quello che conta, è la reazione del pubblico. Che con silenzi e battimani fissa le sue priorità. Sicuramente è una platea che guarda meno ai massimi sistemi e di più alla tasca. Anche agli spiccioli. Basta sedersi in galleria, ultima fila, ascolatre qualche commento per sentire l'aria che tira. I confindustriali, soprattutto i piccoli e medi, restano freddi per tutta la prima parte della relazione, quando si parla di Europa forte, di Italia caposaldo, dell'agenda delle politiche mondiali. E si comincia a scaldare quando si parla della «difficoltà di incasso dei pagamenti». «Non bisogna far venire meno l'ossigeno del credito bancario. Questa è stata, è e sarà la nostra priorità assoluta», spiega la Marcegaglia alzando la voce. E giù applausi. È un crescendo. Insiste la presidente di Confindustria: «Chiedo a tutte le banche, che vivono a contatto con il territorio, di non abbandonare le imprese in questi momenti così difficili». Poco più avanti l'ovazione. Accade quando Emma dal palco affronta la questione dei crediti che le imprese hanno nei confronti delle pubbliche amministrazioni: «Ci hanno spiegato che lo Stato e le altre amministrazioni non possono rimborsare subito tutti i debiti pregressi. Perché ciò innalzerebbe il debito pubblico valido per i parametri europei. Resto convinta che questa sia una vergogna e per questo chiedo perciò quando e come saremo pagati». Fare, fare, fare è la parola che si vogliono sentir dire questi imprenditori accorsi all'auditorium romano. Si scaldano di nuovo quando sentono per esempio parlare del piano casa del governo. E quando la loro presidente aggiunge senza mezzi termini: «Il fuoco di sbarramento che ha accolto il progetto mi sembra esagerato. In molti casi le opinioni contrarie esprimono quella "cultura del no" che continua a impedire utili iniziative e cambiamenti nel nostro Paese». Torna la freddezza in sala quando si parla di welfare. Nessuna grande emozione quando si tocca il tema della coesione sociale oppure di maggiore flessibilità nel mercato del lavoro. La temperatura sale di nuovo quando volteggiano nella grande aula i nomi dei tre principali sindacati. E soprattutto quello rosso: «Ho fatto di tutto per convincere la Cgil - insiste la Marcegaglia - Ma la Cgil non ha creduto che in questo cambiamento e lei sola non ha firmato l'accordo». L'altra vera ovazione non è per una frase o per una citazione. Ma è per Renato Brunetta non appena il suo nome risuona in sala. Una vera e propria standing ovation per il ministro che si imbarazza. Nelle ultime file, in alto, siamo alla curva Sud. Non mancano i «bravo, bravo», gli applausi e le grida di approvazione. Al punto che Berlusconi, nel suo intervento, deve chiamare la platea a un'altrettanta ovazione per Giulio Tremonti per evitare che nella sua squadra possano nascere gelosie. Comunque, l'appaluso personale della platea di Confindustria fa un certo effetto al punto che anche il titolare dell'Economia si imbarazza. Si beccano una citazione anche Sacconi, una ampia la Gelimini, una normale Calderoli con tiratina d'orechie incorporata, una media Matteoli e una short Alfano. Eppure è una platea di un popolo che chiede cose chiare. Questi imprenditori in completo blu e queste imprenditrici in talleur o in pantaloni neri e camicia attillata bianca non aspettano grandi riforme. Aspettano quelle che possono incidere sul loro portafoglio. Tifano per la Fiat, sì. Perché è la bandiera di viale Astronomia che svetola più forte in questo momento. Non vogliono essere lasciati soli nella lotta alla mafia e alla camorra. Vogliono che vince il merito. Non vogliono una politica che passi le giornate a litigare. Non ne possono più degli enti inutili. La Marcegaglia li elenca così: circoscrizioni, comunità montane, enti parco ed enti vari. E soprattutto i confindustriali non vogliono più ascoltare scuse per fare le cose che si devono fare. Ci sono le condizioni, si proceda. Fabrizio dell'Orefice

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