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La battaglia di Tremonti per le imprese

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Il ministro fa sentire la sua voce, richiama il mondo del credito, dà un barlume di speranza soprattutto al mondo delle imprese che continuano a lamentare lo scarso sostegno dalle banche in questa fase difficile. Ottimi i richiami, però attenzione a non cadere nel lamentismo, se ci permettete di coniare un'espressione nuova. Cioè di cadere nella condizione di chi sa che una condizione è ingiusta e lo denuncia, ma sa anche di non poter fare niente per cambiarla. E perciò esaurisce la propria soddisfazione nell'atto stesso di lamentarsi. Anche perché Tremonti si unisce a un coro di lamentele tanto cospicuo quanto, finora, inefficace. Le banche sono state attaccate con veemenza dalla Confindustria (e dalle altre associazioni imprenditoriali) e domani dall'Auditorium romano ne sentiremo altre di batoste contro le banche dalla presidente degli imprenditori Emma Marcegaglia in occasione dell'assemblea annuale. Con parole misurate ma inequivocabili si è pronunciata contro la restrizione del credito e contro i margini eccessivi di guadagno anche la Banca d'Italia. E poi è toccato anche alle altre autorità pubbliche con voce in capitolo.   Mentre in Parlamento qualche presa di posizione su questi temi, e sempre in tono critico verso le banche, è praticamente un fatto quotidiano. Non che Tremonti vada a ricasco di tutte queste voci. Il ministro può rivendicare la primogenitura delle critiche al sistema del credito in Italia e anche degli atti concreti, che lo hanno portato, già in passato, a durissimi scontri di potere. Però da qualche mese a questa parte va rilevato che dalle banche sono venute solo e sempre risposte stereotipate e di totale chiusura a quelli che prima erano inviti da parte del ministro e piano piano si sono trasformati in richiami via via più duri. Lo schema, insomma, sta diventando stancamente ripetitivo: gli imprenditori denunciano, il ministro bacchetta e l'Abi, l'associazione bancaria, risponde, sempre per bocca del suo presidente Corrado Faissola, come se fosse una potenza internazionale disturbata su questioni di politica interna, che va tutto bene, che i tassi li fissa il mercato, che non ci sono differenze con il resto d'Europa. È chiaro che non è così, con l'euribor (il tasso al quale le banche reperiscono i capitali per finanziare i loro clienti) al minimo storico, poco sopra all'uno per cento, certi tassi applicati in Italia non sono difendibili, e i bilanci delle banche testimoniano di questa fase, per loro, di vacche grasse. Anche perché in Italia non si registrano fenomeni diffusi di peggioramento del merito di credito o di aumento delle sofferenze (anzi, c'è addirittura qualche miglioramento) o di deterioramento drammatico dei valori immobiliari, in grado di far saltare lo specifico settore dei mutui. Quindi non c'è alcuna ragione per tenere un atteggiamento ostile con la clientela in questa fase. Il ministro lo sa e da mesi prova a farsi sentire. Ha mobilitato anche i prefetti e ora vuole affiancare ad essi anche le strutture provinciali del Tesoro. Benissimo. Ma attenzione a non finire come il pur ottimo calciatore Ciccio Graziani, sempre ricordato, a fine partita, per l'impegno generoso con cui si prodigava in campo e non per l'effettiva bravura. L'impeto in campo va bene, ma se non porta risultati, lascia attaccato a chi lo compie solo l'epiteto di "generoso", che all'inizio è anche un complimento ma poi si trasforma in qualcos'altro.

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