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Gli «ospiti» nel Cie: ora abbiamo paura

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Sonoentrati in allarme i 243 immigrati del Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, nella periferia romana. Il sì della Camera al decreto sicurezza ha sconvolto la loro linea dell'orizzonte. E chiedono. «È vero che rimarremo qui fino a 180 giorni?», «Quando entrerà in vigore la legge?», «Ho un lavoro da operaio, sono assunto, in attesa di soggiorno: sono rinchiuso qui perché nel 2006 ero irregolare. Che devo fare?». C'è una umanità dai mille volti nel Cie alla periferia di Roma. La maggior parte sono persone uscite di prigione. Ma non sono le uniche presenze. C'è la domestica clandestina, l'ex ufficiale dell'Armata Rossa finito con una divisa da inserviente d'albergo e sbattuto a Ponte Galeria perché non ha ancora il permesso di soggiorno (la moglie badante sì). C'è il peruviano padre di sei figli - la moglie "regolare" assunta come donna delle pulizie - fermato al Prenestino mentre andava a prendere il latte. L'uomo-simbolo di questa umanità sottotraccia si chiama Chen Zhegian, 40 anni, magro e disperato: è l'unico cinese del Cie, non sa con chi conversare, e allora parla da solo. Lo ascoltano ogni sabato solo alcune suore sue connazionali dell'Unione superiore maggiori d'Italia. Ieri alle 10 del mattino il Centro ha aperto i cancelli a una delegazione del Consiglio regionale del Lazio. Ci sono capogruppo e consigliere della Sinistra, Enrico Fontana e Anna Evelina Pizzo; due del Pd, Augusto Battaglia e Luisa Laurelli; e il responsabile della Lista civica per il Lazio, Peppe Mariani. Vogliono capire per quale motivo il 7 maggio è stato vietato l'accesso ad alcuni medici inviati dalla Asl RmD, competente per territorio, perché una tunisina di 49 anni si era suicidata poche ore prima dell'espulsione. Li accoglie il direttore del Cie, Luciano Paoloemili, maresciallo dell'Esercito nei ranghi della Croce Rossa, ex vice del precedente responsabile del Cie, Fabio Ciciliano, e ora sulla poltrona che scotta. Paoloemili spiega che possono entrare i parlamentari, ma tutti gli altri devono essere autorizzati dalla Prefettura. E i medici della Asl non avevano il lasciapassare. Il direttore poi sciorina i numeri: in tutto ci sono 364 posti, attualmente presenti 94 donne e 149 uomini. I padiglioni sembrano gabbie. Gli immigrati vivono in casette a un piano circondate da inferriate alte. Le costruzioni sono una di fronte all'altra. In mezzo c'è un corridoio d'asfalto. Gli immigrati stanno un po' qui, un po' là. Chi entra nel Cie ritira un kit per l'igiene personale, indumenti (scarpe e pantofole comprese), asciugamani, lenzuola (cambiate ogni due settimane). Ogni dieci 10 giorni riceve una scheda telefonica da 5 euro (per contattare la famiglia) e due pacchetti di sigarette. Entro 48 ore la magistratura deve confermare il provvedimento che ha rinchiuso l'immigrato nel Cie: per gli extracomunitari decide il giudice di pace, per i comunitari quello ordinario. Si viene sottoposti a visita medica, a un colloquio con lo psicologo, volendo a un controllo odontoiatrico (è l'unico Cie ad avere un laboratorio dentistico). Sono presenti sei medici che coprono in due turni dalle 8 del mattino alle 20 di sera, e ne rimangono due per la notte, andando così oltre alle previsioni del ministero dell'Interno. Per questi servizi il Cie di Roma ha ottenuto la certificazione di qualità del servizio e la certificazione etica. Insomma, è una gabbia a cinque stelle.

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