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La doppia anima leghista sta entrando in crisi

Bossi

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Due facce della stessa medaglia, che secondo molti osservatori riflettono la natura eccentrica e per molti versi unica del movimento-partito guidato da Bossi: capace di mediare con gli alleati all'insegna del realismo e secondo convenienza, ma pronta ogni volta ad alzare il prezzo nelle trattative minacciando di mandarle a monte all'ultimo momento, attenta a carezzare il pelo al proprio elettorato e ad assecondarne gli istinti più bassi, ma egualmente disposta a scendere a patti, o a fare un passo indietro, quando la situazione e il buon senso politico lo richiedono. Tutto vero, sino ad ora. Ma l'impressione è che questo equilibrio dinamico e sin qui fruttifero tra proposta e protesta, la prima ragionevole e meditata, la seconda spesso umorale e strampalata, stia per entrare in crisi agli occhi stessi dei vertici leghisti. In questi giorni, a proposito di referendum e di politiche per l'immigrazione, si è molto discusso delle tensioni che esistono tra questi ultimi e i loro alleati nel centrodestra. Ma forse converrebbe interrogarsi anche sulla breccia che si sta aprendo all'interno stesso dell'universo leghista, sin qui monolitico e solidale, tra l'ala governativa e quella movimentista, tra la Lega che oggi condivide responsabilità di governo e quella che si considera perennemente all'opposizione o in campagna elettorale. In sintesi, tra chi opera alla maniera di Maroni e chi straparla al modo di Salvini, tra chi è animato da uno spirito costruttivo e dialogante come Calderoli e chi, ad esempio Borghezio, si comporta da estremista ideologico e da agitatore. Il dibattito di questi giorni sulle misure in materia di sicurezza e contrasto alla clandestinità è stato in tal senso rivelatore. La Lega, grazie alle posizioni assunte dal ministro degli Interni, punta ad accreditarsi ormai come partito d'ordine, intransigente sul piano politico e dei valori, persino incurante nei confronti delle critiche improntante ad un eccesso di umanitarismo, vengano dalla Chiesa o da un qualunque organismo internazionale. Ma se questo è il suo obiettivo strategico cosa ci guadagna, anche sul piano del consenso, lasciamo perdere l'immagine, a cucirsi addosso la casacca di partito razzista e xenofobo, sordo finanche ai più elementari diritti umani? Anche agli occhi del suo elettorato - che pure è di bocca buona, ma che essendo popolare mantiene una radice di cristiana ragionevolezza - un conto è il rigore che sta dimostrando Maroni, tutt'altra cosa è l'ottusità priva di costrutto di chi paventa, senza nemmeno rendersene conto, misure e provvedimenti nel segno dell'apartheid. Maroni ha dichiarato l'altro ieri di non capire il senso delle obiezioni che gli ha rivolto Fini, che ha più volte sollevato questioni di principio e di costituzionalità, nella convinzione che su sicurezza e immigrazione servano risposte pragmatiche e razionali. In realtà, dovrebbe prendersela con quei suoi compagni di partito che a colpi di dichiarazioni odiose e inconcludenti, ridicole se non fossero tragicamente pericolose, rischiano di minarne la credibilità e l'impegno. La Lega di governo contro la Lega di lotta: ecco uno scenario tutt'altro che remoto.

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