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Cossiga: l'invito alla vedova Pinelli è un passo verso la memoria condivisa

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Qualeè il suo giudizio, di uno che è stato ministro degli Interni negli anni di piombo, il «Kossiga boia» con le SS runiche? «Il mio è un giudizio positivo, come positivo è stato il giudizio della vedova Calabresi e come positivo sarebbe, se chiamato ad esprimerlo, il giudizio del figlio Mario, bravo giornalista. D'altronde la famiglia Calabresi non da oggi o da ieri ha iniziato un processo di revisione storica di quanto accadde in quegli anni confusi. Mario ha svolto la maggior parte del suo lavoro di giornalista su il quotidiano La Repubblica, fondato da Eugenio Scalfari che fu l'ideatore del manifesto contro suo padre, ammettendo quindi che queste accuse fossero state sollevare in buona fede, non fondate almeno giustificabili nel clima d'allora. Ma l'invito rivolto dal presidente Napolitano alla vedova Pinelli ha un altro più importante e generale significato». Quale sarebbe? «Il riconoscimento che è ormai giunto il momento di creare una memoria condivisa dei così detti anni di piombo tra coloro che si schierarono per la legalità repubblicana e coloro che nella lotta armata, dalle BR a Prima Linea e ai NAP, ritennero di dover lottare per una «democrazia più avanzata» e nella continuazione della Resistenza. Credo che questo sia il significato dell'invito alla vedova Pinelli da parte del presidente Napoletano». Ma perché occorrerebbe una memoria condivisa degli anni di piombo? «Negli anni di piombo io da ministro dell'Interno e da presidente del Consiglio guidai fermamente la lotta al così detto terrorismo. Allora per assicurare un ampio consenso sociale alle difesa della Repubblica sia il governo, che la DC e il PC, dipinsero gli appartenenti alla lotta armata come «criminali comuni» e come «terroristi»: il che non era vero!» E che cosa erano allora? «Erano comunisti, marxisti-leninisti, che si credevano traditi dall'alto là dato da Palmiro Togliatti allo sviluppo della Resistenza da guerra patriottica contro i tedeschi e da guerra civile contro i fascisti a guerra di classe. Ma l'invito alla vedova Pinelli non basta». E che cosa altro servirebbe? «Anzitutto la concessione della grazia a Adriano Sofri, concessa non solo come «atto di grazia» ma come riconoscimento che, se anche egli fosse mai stato il mandante della uccisione del commissario Calabresi, il suo sarebbe stato un atto, anche se stolto, di «guerra di classe» contro un poliziotto messo a guardia di un regime borghese. E poi sulla strada aperta da Giorgio Napolitano si dovrà arrivare all'incontro pacificatore tra gli eredi di Aldo Moro e i combattenti del commando delle BR». Ma Lei cosa pensa dei terroristi? «Che i combattenti della lotta armata non fossero «terroristi», ma combattenti di una rivoluzione senza futuro, che fossero comunisti e marxisti-leninisti, che catturando, «processando» e uccidendo Aldo Moro essi abbiano creduto di compiere un atto rivoluzionario, l'ho sempre creduto. E voglio ricordare che io mi sono sembre battuto per la concessione di una ampia amnistia per i reati del terrorismo di origine comunista».

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