Eurogruppo, il Pd si spacca Scontro sull'alleanza col Pse
Lacollocazione nel nuovo Parlamento europeo, insieme agli eletti del Pse, con il gruppo battezzato «Alleanza dei Democratici e dei Socialisti» non convince tutto il Pd. E, a un mese dal voto, torna ad incrinare l'unità interna. L'ipotesi di intesa, a cui ha lavorato a lungo Piero Fassino, ha il via libera di Dario Franceschini e la benedizione di Massimo D'Alema, ma vede contrari una parte degli ex Popolari, a cui dà voce Beppe Fioroni, e gli ex Dl di Francesco Rutelli, che hanno inviato, dal congresso del Pde a Bilbao, una sfida aperta a Pse e Ppe, lanciando le candidature di Mario Monti e dell'ex premier belga Guy Verhofstadt alla guida della Commissione Europea, contro la conferma di Josè Manuel Durao Barroso. D'Alema è consapevole di quanto sia delicato l'equilibrio nel Pd e non si sbilancia troppo sulla questione, ma non fa mancare a Franceschini e Fassino il suo sostegno. «Il segretario - dice - ha usato un'espressione convincente: il Pd non diventa socialista ma sta insieme ai socialisti. È un buon punto di partenza per una soluzione condivisa». L'ex premier è convinto che «l'originalità italiana può essere un contributo nello sforzo della creazione di un più ampio centrosinistra europeo» e auspica che il voto di giugno sia «un tentativo di riscossa dei progressisti» in Europa. Per ora, l'opposizione di Rutelli resta implicita. Ma non è meno dura. Dal congresso di Bilbao del Pde, il partito promosso con il leader centrista francese Francois Bayrou, l'ex vice presidente del Consiglio lancia un messaggio chiaro: Pse e Ppe sono la vecchia Europa che, sostenendo Barroso, preferisce «accordi mediocri su candidature inadeguate al rilancio della leadership Ue», dice, lanciando i nomi di Monti e Verhofstadt. Ma a mettere in chiaro la posizione dei rutelliani ci pensa Gianni Vernetti. «Nessun organismo del Pd - dice - ha mai deciso l'ingresso nel gruppo del Pse. No, dunque, ad una «confluenza nel gruppo socialista, per quanto riveduto e corretto»; sì, invece, a «formare un gruppo autonomo che faccia da ponte tra le migliori esperienze del riformismo europeo». Una posizione simile a quella di Fioroni, che chiede di parlare della collocazione europea solo «dopo il voto», come aveva deciso la direzione.