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Non si può giocare sulle paure dei lavoratori

Uno stabilimento Fiat

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Sarebbe ora che gli italiani cominciassero a fare pace con la Fiat. Intendo una pace psicologica, il raggiungimento di un rapporto sereno con quella grande azienda, superando anni di facile demagogia, di amore-odio, di complessi. Servirebbe a portare un po' di razionalità nella riflessione pubblica sul grande gruppo automobilistico. Può dare un godimento segreto, ma non è razionale, ad esempio, gufare, per usare il linguaggio che Roberto Colaninno ha applicato alla sua Alitalia, la Fiat. Ricordo benissimo i momenti di grande difficoltà finanziaria, ai quali si associava una fase di debolezza nelle nuove offerte di modelli di auto: in quel periodo c'era chi, velatamente ma non troppo, si augurava il fallimento della Fiat. E si mettevano in giro voci sull'aria di smobilitazione a Torino e sull'imminente arrivo dei nuovi padroni, in realtà liquidatori, americani. Non è successo nulla di tutto ciò, ma questo non toglie che ora, di fronte a un ambizioso ma realistico piano di ripresa (necessario per restare nel giro dei 5 o 6 produttori di auto di livello davvero mondiale e in tutti i segmenti), ci sia chi riprende quelle vecchie abitudini jettatorie. Vanno bene le critiche al piano di espansione con Chrysler e Ford. Tutti i progetti sono criticabili, ma è altrettanto criticabile l'idea di non fare niente o (che novità!) la banale proposta di vendere ai francesi, questa volta Peugeot invece di Air France, e non pensarci più. Suonano ancora peggio, invece, gli attacchi, venati anche da cinismo, costruiti su illazioni a proposito del mantenimento degli stabilimenti e dei posti di lavoro in Italia. Bene ha fatto il ministro Claudio Scajola a prendere posizione pubblicamente a nome del governo per ricordare la fondamentale centralità delle fabbriche italiane, anche nel nuovo gruppo. Ha portato così al massimo livello politico una preoccupazione che è inevitabile avere, ma, così, fissando una linea ufficiale, ha anche stoppato il gioco a chi la spara più grossa da parte di alcuni sindacati e di alcune parti politiche in cerca di visibilità. Qualcuno ha voluto spargere voci non fondate sull'imminente chiusura di due stabilimenti Fiat in Italia in seguito al piano di internazionalizzazione. Voci prontamente usate dalla stampa tedesca per dare una mano agli schieramenti politici contrari alla Fiat in Germania. Questo è un gioco cinico sulle legittime paure dei lavoratori. Al quale la Fiat ha risposto facendo circolare (non sappiamo se per bravura di alcuni giornalisti o per una opportuna fuga di notizie) le linee essenziali del piano, nelle quali, con molta chiarezza, si escludono chiusure di interi impianti, ma si parla solo di cambio di produzione a Termini Imerese e di possibili riduzioni di capacità in altri. Niente di traumatico, insomma, mentre l'obiettivo, la permanenza nella serie A dell'auto, vale certamente il grande sforzo che Fiat e Sergio Marchionne stanno realizzando in questi giorni.

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